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testo di Victor Rivera Magos |
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Aleksandr Nevskij
(Aleksandr Nevskij)
di Sergeij Eizenštejn, 1938
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«Sollevati per la Russia, oh popolo russo!». É questo il canto che scandisce le scene più maestose del film Aleksandr Nevskij di Sergeij M. Eizenštejn, commissionato alla metà degli anni Trenta del secolo XX da Stalin e uscito nel 1938 – anche se l’uscita nelle sale fu ritardata di diciotto mesi a causa del trattato di non belligeranza russo-tedesco sancito prima dell’invasione tedesca della Polonia nel 1939. Lo stesso Stalin, rivolgendosi al regista dopo la visione della pellicola, sembra si sia complimentato dicendogli: «Allora anche tu sei un buon bolscevico!». Le remore del dittatore sovietico e del suo regime nei confronti di Eizenštejn, fino ad allora autore di diverse opere celebrative della rivoluzione d’Ottobre, con il Nevskij sembrano definitivamente cadere. La pellicola, che aveva il compito di celebrare uno degli eroi nazionali russi, vincitore sulla potenza teutonica sul lago Pejpus, nei pressi della costa baltica al confine tra le attuali Lituania e Lettonia, fu un successo di tali dimensioni da garantire al regista l’alta onorificenza dell’Ordine di Lenin nel 1939 e da costituire ancora oggi uno dei capolavori della cinematografia di regime dell’inizio del secolo XX. Il film è divisibile in tre parti ben distinte. La prima costituisce la cornice all’evento: la Russia, non ancora uno stato unitario, era all’inizio del secolo XIII divisa in principati, organizzati in diversi modi e tutti assoggettati a principi di diversa origine. Il più importante tra questi stati era il Principato di Novgorod, città sede di una metropoli ortodossa e ultimo baluardo libero dall’influenza del regno di Livonia, fondato nel 1230 dall’Ordine dei Cavalieri Portaspada, monaci-cavalieri costituiti dal vescovo cattolico di Brema Albert Von Appeldern (1199-1229). Nel 1237 l’Ordine dei Portaspada si fuse con quello dei Cavalieri Teutonici del Gran Maestro Hermann von Salza, ai quali già nel 1226 con una Crisobolla Federico II di Svevia aveva donato i territori Prussiani. Questa fusione generò una delle maggiori potenze dell’Europa del tempo, in grado di allargare i propri confini in successive campagne militari di assoggettamento territoriale, in nome della fede cattolica e della crociata contro l’infedele. In questo caso i principati ortodossi della Rus erano ritenuti tali, secondo l’evoluzione del concetto di Crociata già verificabile con il momento di crisi degli Stati Latini in Medio Oriente all’inizio del secolo XIII e con lo spostamento degli interessi politici sempre più dettati da canoni istituzionali più che religiosi. Le scene iniziali del Nevskij, dopo aver accennato anche alla difficile situazione ad Oriente, dove i governi dell’Orda d’Oro di matrice Mongola hanno ormai inglobato in vincoli vassallatici i territori europei fino ai confini ungheresi, si soffermano sull’ultima conquista (siamo tra 1241 e 1242) dei cavalieri Teutonici, la città di Pskov, dove l’Ordine Teutonico si abbandona in angherie, saccheggi e distruzioni, sino addirittura allo sterminio dei bambini russi, gettati come capretti tra le fiamme delle devastazioni. è evidente il duplice intento del regista. In primis quello di mostrare la brutalità dei teutonici, chiara metafora dello stato animalesco del popolo tedesco nazionalsocialista cui il film è rivolto negativamente. Bisogna ricordare che l’uscita della pellicola avviene contemporaneamente allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, quando l’invasione tedesca della Polonia non sarà considerata favorevolmente dalla Russia Sovietica, nonostante la firma di pochi mesi precedente del trattato di non belligeranza Molotov-Ribbentropp. In secondo luogo la crudeltà dei teutonici verso gli abitanti di Pskov, alla presenza e sotto la benedizione del vescovo cattolico, serve ad Eizenštejn per condannare non soltanto la religione di matrice cattolica – la Russia è sempre stata di fede ortodossa – ma tutte le religioni, che con la Rivoluzione d’Ottobre erano state dichiarate illegali. Non è un caso che durante l’intera durata della pellicola la presenza di consacrati rivesta sempre una chiave negativa. Inoltre lo stesso popolo russo è laicamente omogeneo, quasi che la presenza della chiesa ortodossa sia stato un dettaglio assolutamente trascurabile nella storia della grande nazione russa. La conquista di Pskov serve a unificare i cittadini di Novgorod sotto l’insegna del proprio principe Aleksandr Nevskij (ca. 1220-1263), il quale aveva già sconfitto gli svedesi nella battaglia della Neva del 1240. La preparazione alla battaglia contro i teutonici costituisce il lungo antefatto della pellicola ed è al contempo, accompagnato dagli splendidi canti musicati dal compositore sovietico Prokov’ev, un bellissimo inno alla nazione sovietica e al popolo russo che si prepara alla guerra per la difesa della propria integrità sotto l’alta moralità della propria causa. La causa è quella della Rivoluzione Socialista, evidentemente, e non è un caso che l’esercito approntato dal Nevskij fosse costituito per la maggior parte degli elementi da contadini e artigiani, come la stessa pellicola di Eizenštejn evidenzia, senza alcuna preparazione militare ma unificati dai valori della propria causa e dalla guida sicura dell’eroico principe, chiara allegoria della figura di Lenin. É in sostanza una metafora della rivoluzione sostenuta dalla interpretazione libera della storia. La seconda parte del film è costituita dalla celeberrima Battaglia del Lago Ghiacciato, il lago Pejpus, dove i russi, con una manovra a tenaglia, costrinsero i teutonici ad una sconfitta memorabile, aggravata ancora di più dalla perdita di un numero considerevole di vite a causa della spaccatura dei ghiacci sotto il peso delle possenti armature e dalla conseguente caduta dei cavalieri nelle acque ghiacciate del lago. Era il 5 aprile 1242. Tra morti, feriti e prigionieri, fu una vera e propria débacle. La terza e ultima parte è invece un inno alla potenza e alla magnanimità russa. Le schiere del Nevskij tornano a Novgorod in processione solenne, portando con sé i prigionieri teutonici, presto sottoposti a giudizio e incarcerati anziché massacrati per vendetta. É questo il terzo elemento di differenza tra il comportamento dei teutonici dopo la presa di Pskov e la nuova giustizia russa, che non se la prende con le schiere “proletarie” dell’esercito tedesco, non considerate colpevoli di massacri incondizionati, ma tende a giustiziare solamente i responsabili delle angherie di Pskov, e cioè l’alto comando dell’esercito teutonico.
Il film, su cui migliaia di pagine di storiografia specialistica sono state scritte, è un capolavoro assoluto nella storia del cinema mondiale. Le scene della battaglia del lago Pejpus possono considerarsi uno dei più potenti affreschi del nascente cinema di guerra, dalla ricostruzione dei costumi – i teutonici sembrano rigidi nelle loro armature di ferro, ma quella rigidità appare voluta e anch’essa utile all’interpretazione allegorica dell’insieme – sino alla splendida messa in scena delle tattiche di guerra, con il celebre assalto teutonico detto “a grugno di porco” (svinjeju) mirabilmente ricostruito. Se si pensa ai colossal di guerra a noi contemporanei, come ad esempio Le Crociate di Ridley Scott, nonostante i mezzi tecnologici non siano paragonabili, l’efficacia della ricostruzione, cui evidentemente Eizenštejn dedicò molta attenzione essendo elemento centrale del proprio pensiero il coinvolgimento emotivo dello spettatore, appare di prima grandezza. Come ha fatto notare Gaetano Pellecchia inoltre, l’uso del colore viene capovolto: il bianco, generalmente positivo, assume qui caratteristiche negative, e identifica i cavalieri Portaspada, cioè «in quanto monocromo, una massa di uniformi; le tonalità di grigio, invece, la parte positiva e, in quanto policrome, la massa di individui (il popolo)». (vedi G. Pellecchia, Il bianco e il nero. "Aleksander Nevskij", di Sergeij M. Ejzenstejn). Siamo evidentemente di fronte ad uno dei momenti più alti del cinema di Eizenštejn, dove il minimo dettaglio estetico serve all’insieme. Nonostante l’assoluta assenza positiva della chiesa ortodossa va ricordato come l’elemento iconologico sacro, cui la processione laica finale, quasi un Trionfo classico, richiama, è una delle caratteristiche assenti della pellicola. Tutto è rivisitato in chiave popolare, tralasciando ogni elemento religioso positivo. Va tuttavia evidenziato che i fatti descritti nel film costituiscono uno dei miti fondativi della nazione russa e si svolgono in una delle zone, quella baltica, di maggiore influenza religiosa. Sono le zone del metropolita di Novgorod, capostipite della chiesa ortodossa russa sino al passaggio di eredità al patriarca di Mosca a metà del secolo XIV. Sono le zone della Vergine di Vladimir, la celeberrima icona mariana del secolo XII venerata ancora oggi come “Madre di tutte le Russie”. Sono zone insomma dove la chiesa ortodossa, unita alla pietas religiosa popolare, contribuì a unificare la popolazione. Elemento da sottolineare è poi quello inerente la riflessione sul concetto di popolo russo. Il popolo non è presentato come una massa informe – come avverrà in alcune scene de Ivan il Terribile – ma appare omogeneamente legato alla propria coscienza di classe ed alla assoluta indispensabilità alla causa comune, sino ad essere eletto sommo giudice della vita o della morte del nemico: «Decidi tu, buon popolo» griderà Nevskij, affidandogli la vita di un traditore, immediatamente giustiziato. Un ruolo di primo piano è inoltre legato alla figura femminile. Se da un lato è sempre presente l’idea della donna come “oggetto d’amore”, secondo la lettura classica della storiografia romantica e prima ancora secondo i canoni dell’amor cortese, dall’altro lato la donna riveste anche un significato più direttamente “socialista”: c’è una donna tra le protagoniste della battaglia del ghiaccio, la giovane Vasilisa, ed è essa stessa ad essere investita come combattente più coraggioso della battaglia stessa. La donna dunque, oltre a lavorare e combattere, è uno degli elementi fondanti della nuova nazione socialista. E la donna è la metafora dei sentimenti del popolo russo, che vive paura, sofferenza, speranza, stupore, gioia, esaltazione. Il popolo è in sostanza un bambino che nasce con la vittoria sul Pejpus, come è nato metaforicamente con la Rivoluzione d’Ottobre, e la donna, oltre ad esserne madre, ne è anche esempio di virtù. Un’ultima considerazione va fatta. L’Aleksandr Nevskij si pone come un momento altissimo nella particolare lotta di immagini che in quegli anni coinvolgeva alcune grandi nazioni europee. In Italia i fini propagandistici del regime vennero affidati a film come l’Ettore Fieramosca e La corona di ferro di Alessandro Blasetti. In Germania, già dall’inizio del secolo XX, la rilettura della storia nazionale fatta attraverso alcune figure di spicco del passato teutonico serviva anch’essa come momento di amalgama attorno ai valori comuni della patria e della razza. Si pensi alla rivisitazione della figure degli Ottoni o di Federico II di Svevia, avviata proprio in ambito germanico e assunta poi dal regime nazionalsocialista nei primi anni del Novecento. Siamo dunque di fronte ad un periodo particolarissimo per la storia europea anche non soltanto quando si consideri la mancanza di libertà personali. L’uso pubblico della storia a fini propagandistici fu uno dei tributi che l’Europa dovette pagare alla propria regressione morale, etica e politica. Gli spunti per analizzare la pellicola sono dunque numerosi. L’idea di Medioevo che traspare è fortemente influenzata dalla lettura degli eventi funzionale all’analisi storica necessaria a ergere il Nevskij come mito fondativo del popolo russo e contemporaneamente a farne un mito positivo rispetto a quelli negativi delle nazioni concorrenti ai sovietici (Germania e Italia). Un’operazione analoga verrà affidata da Stalin ad Eizenštejn nella progettazione della biografia di Ivan il Terribile quando, fondato il popolo, la pellicola sarà necessaria alla creazione del mito della grande nazione russa. Va dunque sempre considerato ciò prima di proporre la visione del film, ponendo preliminarmente attenzione alla conoscenza e contestualizzazione della storia dell’Europa medievale, accompagnata inoltre da quella degli eventi che portarono alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale.
Breve nota bibliografica
F. ALBÉRA F., Il cinema sovietico dagli anni
Trenta agli anni Ottanta, in Storia della letteratura russa,
III-3, Il Novecento. Dal realismo socialista ai giorni nostri,
a cura di E. Etkind, G. Nivat, I. Serman e V. Strada, Einaudi,
Torino 1991, pp. 713-723.
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©2008 Victor Rivera Magos