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  testo di Giuseppe Losapio  


Blade Runner

di Ridley Scott, 1982

LA SCHEDA DEL FILM

 

 

 

   

Sogg.: tratto dal romanzo Do Androids Dream of Electric Sheep?, di Philip K. Dick
Scen.: Hampton Fancher, David Webb Peoples, Roland Kibbee
Fot.: Jordan Cronenweth
Mus.: Vangelis
Inter.:

Harrison Ford (Rick Deckard), Rutger Hauer (Roy Batty), Sean Young (Rachel), Edward James Olmos (Gaff), Joanna Cassidy (Zhora), Brion James (Leon), M. Emmet Walsh (Harry Bryant), Daryl Hannah (Pris), William Sanderson (J.F. Sebastian), Joe Turkel (Eldon Tyrrel), James Hong (Hannibal Chew), Morgan Paull (Dave Holden), Kevin Thompson, John Edward Allen, Hy Pyke, Kimiko Hiroshige, Bob Okazaki, Carolyn DeMirjian.

Nazionalità: USA, 1982
Durata: 117'

 

Novembre del 2019; nella piovosa metropoli di Los Angeles, sei replicanti del nuovo modello “Nexus 6” tornano controlegge dalle colonie dell’Extra-mondo sulla Terra, prima che i loro corpi terminino la propria esistenza. Gli androidi sono degli essere artificiali prodotti in laboratorio simili in tutto agli uomini, ma con una durata che si aggira verso i cinque anni. Per “ritirare” dalla circolazione i “pezzi difettati” e ribelli è richiamato il poliziotto dell’unità speciale “Blade Runner”, Rick Deckard, che li individua attraverso il test “Voigt-Kampff”.

Non tutti i replicanti sono a conoscenza della propria natura artificiale. È il caso di Rachel, la segretaria-nipote di Eldon Tyrrell, magnate dell’ingegneria genetica e produttore di replicanti. Cadono i primi androidi: Zhora, spogliarellista in un night, e Leon, ricercato per avere ucciso un agente speciale. Il capo del gruppo, Roy Batty, e la bella Pris sono intenti nella ricerca di Tyrrell, affinché possa allungare loro la vita, e attraverso una serie di informazioni estorte con la violenza raggiungono J.F. Sebastian, un ingegnere genetico affetto dalla “sindrome di Matusalemme” e fedele amico di Tyrrell. Ma il magnate della genetica non potrà soddisfare la richiesta di Batty di “più vita” e per questo sarà strangolato. Intanto Deckard intraprende una relazione con Rachel e scopre il covo degli ultimi replicanti. Inizia un duello mortale tra lui e Batty, che all’improvviso salva il poliziotto prima di esalare il suo ultimo respiro per aver raggiunto il limite della “scadenza”. Terminata la caccia, Deckard è preoccupato dall’incalzante presenza del poliziotto Graff; al “blade runner” non resta che fuggire con la sua amata replicante.

Il film diretto da Ridley Scott, liberamente ispirato all’ironico libro di Phlip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep? (che in italiano suonerebbe “Gli androidi sognano pecore elettriche?”), esce nelle sale nel 1982 senza un grande successo. Raggiunge la fama attraverso i circuiti della “home-video”, tanto da essere riprogrammato nelle sale cinematografiche e nei cineforum. Nel ’91 il regista decide di ripubblicare una versione con un montaggio e un finale differente, The director’s cut. Mentre, è in arrivo nel 2007, per festeggiare il venticinquesimo anniversario del film, la versione definitiva, The final cut con tutte le scene eliminate per volontà della produzione. Dietro il film troviamo anche la presenza di altri importanti nomi della fantascienza americana, William Burroughs, autore del titolo, e del disegnatore di fumetti Syd Mead.

Secondo Roy Menarini il film può essere suddiviso in tre parti (Menarini, p. 37): l’ambientazione con la presentazione dei buoni e dei cattivi e di una irriconoscibile Los Angeles, trasformata in una sterminata metropoli “futurista”, la caccia ai replicanti ma anche la ricerca del creatore di androidi e l’agnizione, ovvero il riconoscimento tra cacciatore e preda con un inedito, per il genere, cambio dei ruoli, dove, probabilmente, anche Deckard scopre di essere un replicante.

«L’ibridazione è d'altronde la chiave di Blade Runner – scrive Alberto Scicchitano nell’Enciclopedia del Cinema della Treccani –, dalla commistione di generi alle scenografie, dalla rappresentazione del melting pot cittadino alla crisi dei concetti di corpo, psicologia, sentimento, pensiero, memoria, dove la frontiera tra umano e androide, tra individuo e replicante è sempre più labile». Anche nella regia si alternano tecniche cinematografiche classiche a quelle pubblicitarie: «Scott rivendica una equivalenza, di impegno, di dignità, e, alla fine, di valore, della pratica cinematografica e di quella pubblicitaria. (…) Ciononostante il suo modo di concepire le affinità tra cinema e pubblicità è significativo di una concezione cinematografica totalmente e indissolubilmente posseduta da un apparato industriale che per ragioni pratiche (finanziarie e “creative”) tende all’omologazione delle procedure realizzative in media differenti. Fortemente contraddittoria, questa mentalità cerca disperatamente di tradursi in un’apparente originalità» (Matteuzzi, pp. 27-28). “Una diversità senza differenza” che spiega anche il susseguirsi, autocelebrativo, delle diverse edizioni del film. Una perdita di unicità che si ritrova nel rapporto tra uomo e replicante, un essere dotato di equivalenza umana secondo Jean Baudrillard (Baudrillard, in Matteuzzi, p. 26). «L’automa è un interrogativo sulla natura, sul mistero dell’anima o no, sul dilemma delle apparenze e dell’essere (…) E l’automa non ha altra destinazione che quella d’essere incessantemente messo a confronto con l’uomo vivente – intende essere più naturale di lui, di cui è la figura ideale» (Baudrillard, in Matteuzzi, p. 64-65).

«Più umano dell’umano» è il motto di Eldon Tyrrell che segue i profitti commerciali, chiuso e isolato dal mondo nelle sue “piramidi-torri”. Come un’alchimista, Tyrrell vive lontano dagli uomini, in una zona extra-moenia, non definita da coordinate spaziali orizzontali, ma verticali, a contatto con quel cielo che la popolazione della metropoli non vede perché ricoperta da una continua pioggia artificiale. Tyrrell produce androidi che si avvicinano sempre di più agli uomini, dapprima per i lavori più duri e massacranti sulle colonie dell’Extra-mondo: dalla guerra al soddisfacimento sessuale nelle caserme; e adesso anche nelle simulazioni di ansie, ambizioni e paure, tanto da sviluppare una propria coscienza. «Bella esperienza vivere nel terrore. Vero? In questo consiste essere uno schiavo» si rivolge in questo modo il replicante Batty ad un terrorizzato Deckard sull’orlo del baratro, fino ad elaborare la famosa frase definita da Massimo Oldoni una riscrittura della Bibbia del futuro: «Io ne ho viste cose che voi umani non potete immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione; ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser… E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire…».

Una presa di coscienza dei replicanti che non sfocia soltanto nell’ottica epica di Batty, ma anche nella sconsolata acquisizione di Rachel: «Io non sono nel business. Io sono il business», dove lo shock è dettato dalla scoperta di essere una merce, una reificazione senza alcuno straccio di umanità se non quella di essere stata creata e riconosciuta nella sua natura di androide. La coscienza degli androidi non è di tipo classista ma individuale, infatti, ogni replicante si mette alla ricerca del proprio creatore: Batty il guerriero cerca l’alchimista Tyrrell, Pris la prostituta cerca un’innocenza mai avuta e la ritrova tra le bambole robotizzate di J.F. Sebastian, anche lui privo della giovinezza per il suo invecchiamento precoce, Rachell cerca Deckard colui che gli dona la sua vera identità di replicante attraverso il test “Voigt-Kampff”, Leon le sue foto unico indizio dei propri ricordi, strumento principale per ricostruire la propria memoria, ma anche di dominio: «Se noi li gratifichiamo di un passato – confida Tyrrell a Deckard –, noi creiamo un cuscino, un supporto per le loro emozioni e di conseguenza li controlliamo meglio».

Attraverso le tecniche fotografiche dei film del genere noir la luce è opacizzata creando l’effetto di chiusura degli spazi. Si sviluppa un’altra ibridazione è quella tra luce e oscurità, dove la prima non illumina, ma sviluppa uno sfondo apocalittico da “Medioevo prossimo venturo”. Secondo Marshall Deutelbam la regia di Scott è influenzata dalla pittura fiammiga del Quattrocento sia nella modulazione delle tonalità luminose, sia nella composizione degli interni delle abitazioni rappresentate nelle fototografie in possesso ai replicanti (Deuteldam, Matteuzzi p. 68). La luce stessa si propone su immensi cartelloni pubblicitari, affissi sui grattacieli o sui dirigibili che producono la pioggia, e si presenta “puntinizzata” riproponendosi come una visione futuribile dei mosaici.

Il “Medioevo prossimo venturo” è un termine, diventato un vero e proprio luogo comune, coniato dal libro di successo di Roberto Vacca, in cui si prospetta il ritorno di un nuovo Medioevo apocalittico nato dal crollo dei sistemi, dall’eccesso dei consumi e dalla scarsezza delle previsioni. Vito Attolini mostra l’affinità tra le letture apocalittiche di alcuni film di fantascienza (da 2001: Odissea nello spazio 1968, di Stanley Kubrick, alla saga di Guerre stellari di George Lucas e a Blade Runner), e il brano del monaco borgognone Rodolfo il Glabro, vissuto tra il X e l’XI secolo, sulla peste del 1033 nella Borgogna (Attolini, p. 138).

Dello stesso avviso anche Franco Cardini che nella sua recensione sul quotidiano "Avvenire" sul film Le Crociate di Scott, cita Blade Runner come film esemplare su tale tematica. Un successo dell’immaginario medievale che scavalca i limiti cronologici della storiografia convenzionale. «Il Medioevo funziona come un formidabile motore di ricerca per capire quali siano i parametri di progressione del futuro. (…) L’immaginario contemporaneo acquista dalle sapienze e dai simboli del passato motivazioni che servono ad accelerare l’investigazione del futuro. Personalmente non avrei dubbi: darei cinque anni di vita per poter vivere cinque settimane nel Diecimila, ma nemmeno cinque minuti per visitare il Medioevo degli Arduini, di Ugo Capeto, di Adalberto di Praga…» (Oldoni, pp. 193-194.). A questo punto il termine “Medioevo” diventa un discrimine da superare per potersi riscattare o salvare dall’apocalisse imminente.

Il paradigma perfetto, secondo Oldoni, del Medioevo nell’immaginario contemporaneo è costituito dall’immagine della Foresta, dell’Abbazia o della Cattedrale o del Castello e del Cavaliere. La Foresta è rappresentata dalla metropoli, composta di una selva indistinta di palazzi, dove vive una popolazione anonima, che il regista è abile a non identificare mai. In una città sterminata, concepita dal disegnatore Syd Mead e “ibridata con la foresta”, dove i processi di agnizione sono continui, è difficile identificare chi è un integrato e chi no: da Batty e i suoi replicanti dalle fattezze di ariani nazistoidi, allo “sbirro” Deckard dedito ai lavori più pericolosi, da chi è cacciato a chi sia il cacciatore. Una doppia identità, che C. Carter Colwell pone tra primitivismo e tecnologia che rinnovano il concetto estremo di frontiera come zona inesplorata geograficamente e interiormente (Matteuzzi, p. 52).

L’immagine del Castello è rappresentato dalle torri-piramidi della Tyrrell Corporation, che svettano isolate sulla selva di palazzi. Nel castello ci si entra o perché si è aspettati e riconosciuti, come nel caso di Deckard, o perché si usa un inganno, non tanto per conquistarlo fisicamente, ma per arrivare a chi vi risiede, come il tranello di Batty che usa Sebastian per raggiungere il suo creatore.

L’immagine del Cavaliere è rappresentata dal poliziotto, che istituzionalmente svolge un compito di difesa dell’ordine stabilito, in questo caso quello di “ritirare i lavori in pelle”. Un’immagine rafforzata anche dalla sua appartenenza ad un ordine speciale, che richiama quelli religioso-militari, e dalla frase del commissario di polizia Bryant: «Ci vuoi tu Deck. È un brutto caso, dei peggiori. Voglio il vecchio cacciatore, con la sua magia!». Questi tre elementi, come per i seguenti, possono offrire spunti didattici interessanti, specialmente attraverso un gioco comparativo tra i significati e e le funzioni che i tre paradigmi assumono dei secoli del Medioevo e nell’immaginario filmico.

Altri elementi dell’immaginario medievale sono il serpente di Zhora, l’unicorno sognato da Deckard e rappresentato in origami da Gaff, e il lupo-Batty. Come l’arcangelo Michele a caccia del demonio sottoforma di serpente, Deckard inizia una caccia alla spogliarellista che lo vede imbattersi in una serie di indizi: le squame articiali della muta, l’immagine del rettile tatuato sul viso di Zhora, fino allo spettacolo da night, dove si allude ad una penetrazione che Zhora ha con il rettile. Rigenerazione, peccato e lussuria letture che hanno origine in autori medievali come Agostino da Ippona, Gerolamo e Isidoro di Siviglia (Moretti).

L’unicorno è un animale fantastico molto ambivalente, che richiama sia significati cristologici, sia la ferocia. Deckard è un unicorno, è lui a sognarlo dopo aver conosciuto Rachel, la vergine, l’androide nata già donna e senza esperienza. Nei bestiari medievali l’unicorno è reso docile proprio dal ventre di una vergine, e così nel film, l’agnizione del feroce cacciatore di replicanti avviene grazie all’amore per Rachel, che lo porta alla fuga amorosa contro le sue stesse regole.

Il lupo è forse l’animale che meglio rappresenta il rapporto tra uomo e ambiente e quindi tra replicanti e uomini. Durante il duello finale, il replicante incomincia a ululare inseguendo il cacciatore: la perdita di controllo dell’ambiente e del dominio sugli androidi, porta allo scontro. Il rapporto uomo e ambiente nel Medioevo e il ruolo che il lupo ha e che gli danno gli uomini, dipingendolo come essere totalmente negativo, fino ad associarlo ad un diavolo, è trattato da Gherardo Ortalli. All’interno dell’”universo della fame” la società degli uomini si coalizza contro il lupo: è uno scontro tra grandi divoratori di carne, eppure il lupo è importante per mantenere anche gli equilibri ambientali, un rapporto ambivalente rappresentato nel film, dove i replicanti sono utilizzati in quei lavori degradanti, ma indispensabili. La stessa figura del blade runner si identifica nel luparius, il cacciatore di lupi, una figura sociale presente in Europa e stipendiata dal potere centrale.

I temi del doppio, dell’ambivalenza, del simulacro, cari alla letteratura dickiana, sono rappresentati dal “Medioevo prossimo venturo” di Blade Runner e non sono che i segni di un sistema sociale di sussistenza all’interno di una società che tutto produce e consuma a una velocità alienante: in un futuro con un’economia simile alla nostra l’uomo sprofonda in un modello sociale medievale, dove ogni giorno bisogna lottare per la propria sopravvivenza, dove ogni giorno l’apocalisse è imminente, dove l’ibridazione comporta meccanismi continui di agnizione, anche quando si ricopre cariche e ruoli istituzionalizzati. «L’uomo si inventa una sopravvivenza e i rituali ad essa relativi, anche se è difficile affermare di percepirli: tanto nel film quanto nel romanzo di Dick. (…) I replicanti non fanno che ricordare questo desiderio di sopravvivenza dell’uomo stesso, indissolubilmente legato alla paura di una morte definitiva» (Matteuzzi, p. 63). Infatti, nella prima versione la voce narrante di Deckard chiude con queste parole il duello finale: «Io non so perché mi salvò la vita. Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l’avesse mai amata: non solo la sua vita, la vita di chiunque… Tutto ciò che voleva erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: da dove vengo, dove vado, quanto mi resta…».

  

Breve nota bibliografica

V. ATTOLINI, Film di fantascienza e Medioevo, in «Quaderni medievali», n. 16 (dicembre 1983).
ID., Immagine del Medioevo nel cinema, Bari 1993.
J. BAUDRILLARD, Lo scambio simbolico e la morte, Milano 1990;
M. DEUTELDAM, Memory/Visual design: The Remembered Sights of Blade Runner, in «Litterature Film Quarterly», v. 17, n. 1, 1989.
F. MATTEUZZI, Ridley Scott, Milano 1995.
R. MENARINI, Ridley Scott. Blade Runner, Torino 2000.
F. MORETTI, Specchio del mondo. I ‘bestiari fantastici’ delle cattedrali, Fasano 1996 (e cfr.
anche la sua versione sintetica in http://www.mondimedievali.net/Immaginario/indice.htm).
M. OLDONI, Il significato del Medioevo nell’immaginario contemporaneo, in Medioevo reale. Medioevo immaginario. Confronti e percorsi culturali tra regioni d’Europa (Atti del convegno di Torino, 26 e 27 maggio 2000), Torino 2002.
G. ORTALLI, Lupi genti culture. Uomo e ambiente nel medioevo, Torino 1997.
R. VACCA, Il medioevo prossimo venturo: la degradazione dei grandi sistemi, Milano 1971.

   

     

       

   

©2008 Giuseppe Losapio

    

 


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