Il castello delle ombre a cura di Vito Attolini |
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Le recensioni di Vito Attolini |
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Robin Hood
Interpreti: Russell Crowe, Cate Blanchett, Mark Strong, Eileen Atkins, Matthew Macfadyen, Kevin Durand, Danny Huston, William Hurt, Max von Sydow – GB-USA, 2010
Ultimo della sterminata filmografia su Robin Hood, il film di Ridley Scott cerca di inserire il leggendario eroe della foresta di Sherwood, impersonato da Russell Crowe, al centro delle grandi lotte politiche nell’Inghilterra del tredicesimo secolo. Siamo perciò lontani dall’immagine che dello stesso personaggio ci diedero i tanti film che lo hanno preceduto: dall’esuberante baldanza di Douglas Fairbanks all’eleganza e insieme virilità del più famoso Robin della storia del cinema, Errol Flynn. A questi si sostituisce ora la mascolina e sbrigativa rudezza Russell Crowe, l’attore australiano fra i prediletti di Ridley Scott. Il film ribalta in più di un senso la filmografia “robinhoodiana” mostrando un’attenzione più diretta per quel contesto storico che nelle precedenti versioni cinematografiche era stato in parte sacrificato per lasciare spazio alla leggenda fiorita su un “eroe” della cui effettiva esistenza peraltro si conosce ben poco. Non senza ragione si è potuto cogliere in alcune recensioni intorno al film di Scott una specie di delusione, come per il “tradimento” di un personaggio che soltanto alla fine del film diventa il Robin Hood amato da tante generazioni. Ridley Scott lo propone nella veste tradizionale soltanto al termine dell’affresco storico o, se si preferisce, in costume che costituisce il nucleo narrativo del suo film.
A proposito del contesto storico alcune recensioni si sono espresse piuttosto negativamente: «il racconto mescola alla rinfusa anni, luoghi, fatti, personaggi, biografie…. Il cinema, soprattutto quello che gioca a spararle grosse, gode di un radicale e sfrontato diritto alla menzogna» (R. Escobar): peccato che nel corso dello scritto non si trovi qualche indicazione di carattere storico che possa convalidare tale affermazione. O, ancora, «l’idea di cinema di Ridley Scott: lo spettacolo viene prima di tutto e se la fedeltà storica può essere un ostacolo per conquistare l’attenzione dello spettatore, basta un attimo per dimenticarla» (P. Mereghetti): anche qui nessun dettaglio che possa giustificare una così decisa asserzione. Vero è che Scott non si perita, all’occasione, di “inventare” eventi con consapevole alterazione della realtà (vedi, ad esempio, la morte di Marco Aurelio in Il gladiatore). Tutto sommato, però, sotto l’aspetto storico il film di Scott non presenta vistose manipolazioni, sebbene appaia un po’ troppo laconico nel riferire di avvenimenti la cui conoscenza da parte dello spettatore dà spesso per scontata. Quest’ultimo suo kolossal risulta più vicino alla storia di quanto il carattere leggendario della figura del suo protagonista possa lasciar credere. Robin Hood infatti è la rievocazione di un momento cruciale della storia inglese del tredicesimo secolo, al tempo del contrasto con la Francia di Filippo Augusto, sul cui territorio, attraversato nella marcia di ritorno in patria, le truppe inglesi di ritorno dalla terza crociata - capeggiate da Riccardo Cuor di Leone (Danny Huston) che vi perse la vita - si scontrarono con quelle francesi. Al seguito del Re c’è il futuro Robin Hood, che nel film si chiama ancora Robin Longstride, perché, al contrario dei precedenti film, come s’è visto, quello di Scott si conclude proprio nel momento in cui, per l’ostracismo decretatogli da Giovanni Senzaterra (Oscar Isaacs), il combattivo e orgoglioso Robin decide di ritirarsi nella foresta di Sherwood insieme con i suoi fedeli per proseguire la lotta contro il sovrano e i soprusi della Corona. Un ruolo non secondario nel determinare il corso delle vicende è svolto dal personaggio immaginario di Godfrey (Mark Strong), il “messo” inglese che, dopo essere passato al nemico francese, ritorna clandestinamente in patria per mettere a punto i preparativi dell’imminente invasione. Al termine del conflitto prende avvio la leggenda di Robin Hood.
C’è poco di leggendario invece nella rappresentazione di un’epoca ricostruita con attendibile verosimiglianza soprattutto dei suoi aspetti più aspri e ruvidi, con la miseria dei molti su cui grava la scure fiscale dello spietato Giovanni Senzaterra e della Corte. Contro tali ingiustizie si leva la protesta di Robin, fedele all’insegnamento di suo padre, che lo aveva esortato, quando era ancora bambino, a «ribellarsi e ribellarsi ancora finché gli agnelli diventeranno leoni». Glielo ricorda William Loxley (Max von Sydov), cui Robin porta la triste notizia della morte sul suolo francese del figlio Robert, sposo della bella Marian (Cate Blanchett) che ne ha atteso invano il ritorno. Questa, dopo l’iniziale avversità verso il futuro eroe di Sherwood (con la minaccia del “taglio della virilità” qualora fosse andato oltre i limiti imposti dal suo onore) ne diventerà poi la fedele compagna.
Se è fin troppo reticente nel riferimento ai fatti storici, il film si rivela più attento alle dinamiche interpersonali fra i suoi tanti personaggi: Marion, tutt’altro che docile e pieghevole come appariva nei precedenti film; Eleonora d’Aquitania (Eileen Atkins), madre di Riccardo e Giovanni; lo sceriffo di Nottingham (Matthew McFadyen), Guglielmo il Maresciallo (William Hurt), l’odioso Giovanni Senzaterra che, dopo averla promessa ai suoi baroni, brucia la Magna Charta, lontano fondamento della Costituzione inglese (per concederla due anni dopo ai baroni suoi sudditi: ma questo il film non lo dice). Le esigenze del grande spettacolo, puntualmente assolte da un film di forte impatto e suggestione, sono quelle che però prevalgono, con alcuni richiami che attualizzano l’invasione finale, ragguagliata a quella dello sbarco in Normandia dell’ultima grande guerra descritta da Spielberg in apertura del suo Salvate il soldato Ryan.
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©2010 Vito Attolini; recensione pubblicata in "La Gazzetta del Mezzogiorno"