Il castello delle ombre a cura di Vito Attolini |
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Le recensioni di Vito Attolini |
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Harry Potter and the Prisoner of Azkaban
Interpreti:
Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, David Thewlis, Michael Gambon, Gary Oldman
– USA, 2004
Siamo al terzo anno “universitario”, facoltà di magia di Hogwarts, e gli studenti, che vestono come i loro colleghi di Oxford, stanno crescendo (nell’età e negli studi). Soprattutto Harry, con un viso non più infantile e con una statura e un pomo d’Adamo che, aumentando di consistenza, porranno qualche problema per il quarto capitolo (in preparazione) di questo fortunatissimo serial, i cui destinatari principali sono infatti i prepuberi. Chris Columbus, regista delle prime due parti, ha lasciato il campo al messicano Alfonso Cuarón, meno incline forse agli astuti giochi infantili in cui il suo predecessore è maestro, per cui ha dovuto cambiare rotta (stilistica) a Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, puntando sul fantastico dark. Il ritorno a Hogwarts di Harry e dei suoi inseparabili amici, Hermione e Ron, per la prosecuzione degli studi, dà inizio agli incantesimi e ai sortilegi che si moltiplicheranno sempre più nel “college”, dove fanno la conoscenza di qualche nuovo docente (è stato necessario sostituirne qualcuno, infatti, dopo la morte di Richard Harris, i cui insegnamenti proseguono ora con l’imponente Michael Gambon). Il college si fa sempre meno sicuro per Harry, perché Sirius Black, prigioniero di Azbakan (Gary Oldman), che ha un vecchio debito con lui, minaccia di ucciderlo, dopo essere evaso dal carcere. Ma il seguito della storia comporta qualche variazione nel suo programma.
Nel
frattempo gli studi degli allievi di Hogwarts consolidano ancor più le loro
virtù magiche, già consistenti: una loro parola trasforma a vista animali
temibili di incerta identità in mostriciattoli comici (“ridicule” è la
parola che provoca la metamorfosi). Compaiono poi altre creature fantastiche,
come i dissennatori, un ippogrifo di ascendenze ariostesche che fa volare nei
cieli i tre amici che lo cavalcano, un albero vivente e semovente nonché
contundente, grazie ai suoi robusti rami, mostruosi corvi che volteggiano
minacciosi. E, per completare la ricca serie di fantasticherie, un maestro di
magia (David Thewlis), che si rivela vittima a sua volta di un maleficio che non
può controllare, provocato dalla luna piena che lo trasforma in un licantropo. Una sovrabbondanza di sorprese che si chiudono con Harry che,
nella scena finale, vola in alto a cavallo di un manico di scopa (proprio come i
poveri di De Sica in Miracolo a Milano). Il fermo immagine inquadra il
suo volto in primo piano, promessa per la prossima puntata, che, necessariamente
dovrà provvedere a un aggiustamento di tiro della saga potteriana, così come
l’abbiamo conosciuta. Consapevole forse di una inevitabile usura della materia narrativa già svolta nei due film precedenti film, Alfonso Cuarón ha accumulato una sequela di eventi magici che non danno tregua e si moltiplicano a vista. Forse con un eccesso di offerta che non può non ingenerare una certa sazietà nello spettatore (ma i giovanissimi applaudono entusiasti alle sorprendenti sortite dei tre piccoli maghi). Accanto al simpatico trio protagonista, il film raggruppa, talvolta per piccoli ruoli, una serie di attori di gran nome, alcuni dei quali resi poco riconoscibili dall’eccesso di trucco: l’indimenticata Julie Christie, il giustiziere di Harry, già detenuto per dodici anni nelle prigioni di Azkaban, impersonato da Gary Oldman, la spigolosa Maggie Smith, Emma Thompson, Alan Rickman e altri ancora appartenenti al “corpo docente”.
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L'«altra» recensione: di Lucia A. Buquicchio
©2004 Vito Attolini; recensione pubblicata in "La Gazzetta del Mezzogiorno"