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2 (Kingdom
of Heaven)
di Ridley Scott, 2005
Quando
si decide di raccontare la storia, spesso e volentieri non lo si fa ricostruendola
fedelmente, ma la si usa per narrare
la propria. Con questa intenzione il regista
Ridley Scott si è apprestato a girare i suoi ultimi due film di ambientazione
storica: Il
gladiatore (2000) e The
kingdom of heaven, in Italia tradotto con il titolo Le crociate
(2005). Se
il precedente film trattava la tematica del rapporto tra politica e
mondo delle comunicazioni, questo si sofferma maggiormente sul concetto
di “scontro di civiltà” inserito nella prospettiva dell’aggressione
americana im Medio Oriente. Vista la scottante attualità della
tematica, e le passioni non ancora assopite della passata campagna
elettorale americana, Scott ha introdotto nel film troppi Bush, troppe
Rice e Rumsfeld e poca storia: gli uomini del XII secolo,
protagonisti del periodo trattato, non sono che pretesti scenografici
dell’azione drammaturgica. Il
punto forte del film - o del periodo storico? -, è la trama: attinta
dai fatti accaduti a cavallo tra le cosiddette “seconda” e “terza
crociata” con la presa della Gerusalemme latina nel 1187 ad opera del
condottiero curdo sunnita Yssuf ibn-Ayyub, chiamato dagli europei
Saladino. È il racconto di un fabbro francese, Baliano di Ibelin
(Orlando Bloom), disperato per il suicidio della moglie e per
l’omicidio di un prete, che decide di seguire il padre, il nobile
Goffredo di Ibelin (Liam Neeson) in Terrasanta, luogo di libertà, di
espiazione dei propri peccati e dove l’animo inquieto del fabbro
Baliano potrebbe trovare tutte le sue risposte esistenziali. Ma il
figlio ritrovato non potrà godere dell’amore paterno, che in punto di
morte lo investirà cavaliere e lo farà erede della sua signoria in
Palestina. Baliano, personaggio realmente esistito non sotto le spoglie di
un fabbro francese, ma come rappresentante di una famiglia pisana nella
Palestina latina, dopo un’approssimativa formazione alla vita di corte
e di guerra, lo si trova coinvolto in
epiche imprese: uno scontro stile “una sporca dozzina” contro un
intero esercito musulmano; oppure esperto signore che cura la propria
terra seguendo pratiche agricole e idriche conosciute da tutti i fabbri
dell’epoca, per non parlare della sua abilità nella lettura, nella
scrittura, nell’uso di attrezzature ottiche e nei calcoli matematici. Lo
“schiaffo” dell’addobbamento lo trasforma in un cavaliere
“illuminato”, caso raro per quei “tempi bui”. Altri personaggi,
tutti storicamente vissuti, sono il giovane e sfortunato re di
Gerusalemme Baldovino IV, che morirà di lebbra all’età di
venticinque anni dopo aver gestito il rapporto con i regni islamici del
Medio Oriente e con il Saladino, attraverso trattati di pace e armistizi. Sempre in campo cristiano troviamo i consiglieri del sovrano,
divisi tra i falchi, Guido di Lusingano futuro re di Gerusalemme, e
Rinaldo di Chatillon, e in colombe, la regina Sybilla (Eva Green) e il
maestro dell’ordine di San Giovanni, Ugo di Tiberiade (Jeremy Irons). In
questo modo il
panorama socio-politico risulta
fin troppo semplificato: i primi, i falchi, sono
sporchi, cattivi e fondamentalisti religiosi, rivestiti spesso della
tunica dell’ordine dei Templari, e gli altri, le colombe,
belli, generosi e caratterizzati da un ateismo astorico. Altre
sviste sono: il patriarca, ortodosso, di Gerusalemme Eraclio vestito come un
vescovo cattolico romano; i predicatori sciiti consiglieri del Saladino quando
lui è un curdo sunnita e i suoi più stretti collaboratori erano dei sufi; i
templari sono rappresentati come degli esseri malvagi e guerrafondai, quando le
stesse fonti musulmane riportano esempi illuminanti di coesistenza pacifica tra
i rappresentanti dell’ordine del Tempio e i musulmani. A
parte i classici, quanto stucchevoli, stereotipi hollywoodiani, vedi la
fuga amorosa di Baliano e Sybilla; per quale motivo un film così
costoso si muove tra mille banalizzazioni e gravi errori di
rappresentazione? Eppure ci sono alcune scene dove la storia è
perfettamente rappresentata, come la presa di Gerusalemme e la
decapitazione di Rinaldo di Chatillon, un vero cammeo storico tratto da
un cronista musulmano, Malik al-Afdal, figlio del Saladino. Una
risposta ci viene dal regista che ha sempre dichiarato di non voler
rappresentare con accuratezza il periodo storico, ma di usarlo
per propagandare un messaggio pacifista. Anche se le scene migliori e più
curate di tutto il film sono quelle di guerra. Scott
è rimasto alle suggestioni storico-letterarie ottocentesche di un altro Scott,
Walter, autore di due celebri romanzi, Ivanhoe
e Il Talismano. Nella prima opera si trova l’immagine del templare
corrotto e violento, nella seconda una esaltazione in chiave cavalleresca del
“feroce” Saladino, che per gli europei del XIX secolo era una figura di
grande fascino come tutte le icone importate dall’Oriente coloniale. Ancora
una volta il cinema hollywoodiano rispecchia l'idea che l'americano
medio ha della storia altrui: una
visione che esalta il particolarismo scenico dello
spettacolo bellico e banalizza
le differenze di popoli e culture. Lo spettatore si trova di fronte un
Baliano che nomina cavalieri tutti gli abitanti
di Gerusalemme, anche gli ebrei e i musulmani presenti, incitandoli a
combattere non per Dio, ma per Gerusalemme, in quella città definita
“sacra” da tutte le religioni abramitiche: dove ogni pietra parla
del Dio di Abramo, di Gesù e di Muhammad; forse Baliano preferiva il
dio della Coca-cola.
©2004-2005 Giuseppe Losapio