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Il castello delle ombre a cura di Vito Attolini |
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VITO ATTOLINI - RAFFAELE LICINIO
Sei
anni fa ricorreva il nono centenario della presa di Gerusalemme, al
termine della prima “crociata” (15 luglio 1099): il cinema se ne
dimenticò. Ora questo nuovo film di Ridley Scott, Le
crociate - Kingdom af Heaven,
riprende il tema,
sia pur ambientandolo tra la seconda e la terza “crociata”. Ci
sono elementi di novità, rispetto alla precedente filmografia? ATTOLINI:
Rispetto ai pochi, precedenti film sulle crociate, il film di Ridley
Scott, sul piano strettamente narrativo, presenta qualche motivo di
novità. Intanto il titolo italiano potrebbe indurre in errore. Non si
tratta infatti della rappresentazione di una crociata, quella su cui
puntavano i film di De Mille (I crociati, degli anni Trenta) e di Butler (Riccardo Cuor di
leone, degli anni Cinquanta). Scott ha invece
puntato l’attenzione su un periodo che fa da parentesi fra la
seconda e la terza crociata, dando comunque per scontato il fatto che
la periodizzazione delle otto crociate, tante furono complessivamente
le “spedizioni” dell’Occidente cristiano in Terra Santa, è il
risultato di una “convenzione” comunemente accettata dagli storici
e che, all’epoca delle prime crociate fino al Trecento circa, il
termine stesso era ignoto ai promotori e partecipanti alle spedizioni
dall’Occidente per la conquista del Santo Sepolcro. Perché Scott ha
scelto questo periodo? La scelta risponde al “messaggio” che ha
sottinteso al film. Infatti fra la seconda e la terza crociata si
stabilì una sorta di parentesi, quasi una medievale pausa di Dio, nel
conflitto fra cristiani e musulmani e si sperimentò la possibilità
di una pacifica convivenza fra gli uni e gli altri: una pace fragile,
come il corso degli eventi narrati dal film ci dirà. LICINIO: Se discutiamo di questo film, non possiamo eludere uno dei nodi sempre attuali del rapporto tra cinema e storia: che cosa significa in realtà “film storico”? Un film e un libro di storia, ciascuno nella sua indiscutibile e necessaria autonomia, reinterpretano e reinventano la storia con strumenti e con esiti assai diversi. Forse, sarebbe più corretto parlare di “film in costume”, piuttosto che di “film storico”. Ciò non toglie che ogni film sia anche un prodotto storico e storicamente definibile, nel senso che esso rappresenta non tanto l’età che mette in scena, quanto l’età in cui è girato. In questo senso, il maggior elemento di novità del film di Scott va colto non all’interno dell’attuale dibattito storiografico e specialistico sul ruolo delle “crociate”, ma in rapporto allo stato attuale della “questione palestinese” e, più in generale, delle relazioni tra Occidente e Islam. Le crociate ha il merito di riproporre questo nodo, ma in termini che appaiono troppo schematici, troppo elementari. La coesistenza e la tolleranza difficilmente si raggiungono se si semplifica troppo una questione estremamente complessa: se la si rende solo un problema etico, di buoni e cattivi, di falchi e colombe, invece che un problema in primo luogo politico, anche una proposta pacifista diventa poco credibile. Tra l’altro, non posso non rilevare l’incongruenza per cui le scene migliori, ed anche storicamente più corrette, di un film che vuole esaltare pace e tolleranza, sono proprio le scene belliche, quelle degli assedi e degli scontri armati. E qui davvero Scott dà il meglio di sé.
In quale misura anche in Le crociate, come in tanti altri film di ambientazione storica, si riscontrano distorsioni ed errori sul piano più propriamente storico? ATTOLINI:
A mio parere, per quanto riguarda le inesattezze, che nel film non
mancano e che gli storici soprattutto hanno sottolineato, queste non
alterano o pregiudicano il quadro storico complessivo che Scott ha
dato delle ragioni per cui si realizzò una fase di convivenza fondata
sulla tolleranza e la comprensione delle rispettive ragioni, dei
cristiani e musulmani. Ora questo quadro generale mi sembra sia stato
abbastanza nitidamente disegnato dal film. Le ragioni della rottura,
provocata dalle manovre politiche di Rinaldo di Chatillon e Guido da
Bisignano, alludono inoltre alla componente economica –
imperialistica diremmo oggi – che non fu secondaria nella promozione
e realizzazione delle Crociate, cui fece seguito la spartizione dei
territori occupati da parte dei principi e vassalli cristiani
occupanti. Premessa per successivi e prevedibili attriti, anche fra di
loro, che avrebbero provocato, come in effetti accadde e come il film
ci racconta, le premesse per la riconquista di Gerusalemme da parte di
Saladino (personaggio centrale sul piano della ideologia del film, che
Scott ha descritto in tutta la sua magnanimità e lealtà), e per dare
inizio a quella che poi si chiamò la terza crociata. Qui
“esemplificata” dal breve brano in cui il giovane protagonista
incontra Riccardo Cuor di Leone – personaggio eminente fra gli altri
sovrani partecipanti (l’imperatore svevo Federico I
“Barbarossa”, Filippo II Augusto re di Francia) - in procinto di
recarsi in Terra Santa. Sotto
questo aspetto credo che l’eccessiva severità dimostrata dagli
storici rispetto alle sviste di cui il film si sarebbe macchiato
vadano inquadrate in una diversa dimensione. L’immaginazione
(cinematografica e no) ha le sue ragioni che la scienza storica
ignora. Del resto la storia letteraria che ha attinto al passato per
farne materia di narrazione o rappresentazione storica, è ricca di
esempi di inesattezze, premeditate o involontarie, che non ne hanno
perciò pregiudicato il valore artistico. LICINIO:
Anche qui, siamo di fronte ad un antico problema: che cosa deve fare
lo storico chiamato ad esprimersi sulla verosimiglianza storica di un
film, se non individuarne gli anacronismi e gli “errori”? Se su un
film mi si chiede un giudizio estetico, o semplicemente di gradimento,
cercherò di fornirlo, nei limiti della mia competenza o dei miei
“gusti” di spettatore. Alla domanda precisa se nel film di Scott
ci siano errori storici, non posso invece che rispondere elencandoli.
Dirò, ad esempio, che la prima didascalia iniziale del film propone
il secolo XII come un secolo di estrema povertà e repressione, per
l’Europa: al contrario, fu il secolo della rinascita e dello
sviluppo agricolo, commerciale e culturale. Dirò che la bandiera con
la mezzaluna all’epoca non esisteva (apparirà nel Quattrocento con
i Turchi Ottomani): è davvero
incongruo, come dare in mano a Mazzini o Garibaldi la bandiera dell’Onu.
Rileverò che è anacronistica la presenza di un consigliere sciita
presso il Saladino (Salah ad-Din era curdo e sunnita). Annoterò che
Baliano II di Ibelin è personaggio realmente esistito, esponente di
quel ceto feudale che in Palestina cercava rendite e prestigio, tanto
da impalmare la principessa bizantina Maria Comneno (altro che morta,
è volutamente cancellata nel film: ostacolava l’amore, inventato ma
necessario a fini di “cassetta”, tra Baliano e Sibilla). Aggiungerò
che Eraclio, presentato nel film come vescovo vile e “cerchiobottista”,
non era un vescovo cattolico, ma il patriarca ortodosso di
Gerusalemme; e via dicendo. Alcuni anacronismi sono errori, e gli
errori li fanno anche gli storici di professione, altri sono scelte
precise del regista e dello sceneggiatore, scelte stilistiche, scelte
narrative. Lo storico non le “condanna”: ma cogliere sviste e
anacronismi voluti, mi consente di comprendere meglio
l’”ideologia” del film, e persino l’ambiguità della sua
lettura storica e del suo dichiarato intento di esaltare la necessità
di dialogo tra culture e fedi diverse.
In
sostanza, questi errori influiscono negativamente sulla “resa
artistica” del film? LICINIO:
In parte direi di sì. Come spettatore, mi rendono difficile
“partecipare” al film e lasciarmene coinvolgere. Ma Le
crociate, così come un altro spettacolare film su quel periodo,
Saladino, girato nel 1967 dall’egiziano Youssef Chahine (e anche
lì il Saladino era presentato come personaggio leale e generoso), non
funziona soprattutto sul piano della credibilità del messaggio che
vuole lanciare. Troppo schematica la realtà rappresentata, e invece
proprio la storia reale avrebbe potuto suggerire elementi ben più
efficaci, anche sul piano della drammatizzazione. Se si vuole
rappresentare la tolleranza come base irrinunciabile della
coesistenza, come si può poi omettere così vistosamente la presenza
e il ruolo degli ebrei, nella Palestina delle crociate e nel Medio
Oriente di oggi? ATTOLINI:
Io penso che su questo piano non ci sarebbe nulla da controbattere, a
condizione che si pensi al film come ad un’opera di fiction
storica, non come ad un testo di storia vera e propria. Se io voglio
sapere qualcosa sulle crociate non mi rivolgerò certo al film di
Scott. Il quale, nell’altro suo precedente film storico (Il
gladiatore), non ha esitato a far morire Marco Aurelio per mano
del figlio Commodo che gli offre una mela avvelenata, mentre è noto
che morì a causa di un’epidemia durante una sua spedizione militare
nella Dacia. Un errore determinato dalla struttura drammatica del film
che somiglia più ad una tragedia, per così dire, elisabettiana, che
a un film storico. La stessa cosa mi sembra accada nelle Crociate.
Il film è come diviso in due parti che non coincidono. Da una parte
c’è una rappresentazione di un evento storico, con personaggi
realmente protagonisti delle vicende narrate – dal protagonista e
suo padre Goffredo di Ibelin, a Baldovino IV, il re di Gerusalemme
morto di lebbra a 24 anni, a Sybilla sua sorella, a Goffredo e Rinaldo
e, soprattutto, il Saladino (questa precisione nell’indicare con i
loro veri nomi i personaggi accrescerebbe perciò l’inesattezza con
cui talvolta vengono raccontate le loro azioni non corrispondenti a
quelle effettive). Dall’altro c’è uno schema narrativo che è
vicino e osservante dei canoni narrativi del film storico
d’avventura, alle cui leggi Scott ha sacrificato le ragioni della
storia. Se ha un senso chiederci che cosa egli avrebbe dovuto fare e
non ha fatto, direi che il personaggio centrale, Baliano di Ibelin,
che è il perno del racconto, è tutt’altro che in grado di
riassumere nel suo comportamento e nella sua psicologia la complessità
storica degli eventi cui partecipa, anche per colpa dell’inerte
Orlando Bloom che lo interpreta. Sembra più preoccupato di non
deludere gli spettatori tradizionali che si aspettano quella somma di
avventure e amore su cui il cinema spettacolare si fonda, che di
essere cosciente del ruolo storico cui la sorte lo ha destinato (ma
vedremo se questo limite sarà superato dall’edizione integrale del
film che, nella durata di circa quattro ore, vedremo in DVD). Fatti
questi rilievi, che non sono ininfluenti sul valore artistico del
film, a mio parere complessivamente non irrilevante, non si deve
disconoscere la straordinaria perizia e inventiva di uno dei più
notevoli registi del cinema odierno, cui dobbiamo nel 1982 un capolavoro come
Blade
Runner.
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Silvia Bizio, Parla Ridley Scott: Il mio kolossal di pace
Serena D'Arbela, A proposito delle Crociate di Ridley Scott
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© 2005 Vito Attolini e Raffaele Licinio