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Seconda visione a c. di G. Pellecchia |
(regia di Mario Costa, Italia, 1959)
Il film è un classico prodotto commerciale del genere "avventuroso" ( o di "cappa e spada") che non accampa pretese e che, prendendo a modello il cinema avventuroso statunitense - si pensi ai film di Douglas Fairbanks ed Errol Flynn - ha il solo scopo di raccontare una storia semplice e avvincente, magari anche infarcita di dialoghi conditi con un po' di ironia. Sin dalle prime sequenze, è possibile individuare, con un minimo margine di errore, lo sviluppo della vicenda. Girato in maniera assolutamente convenzionale, il film consente subito di individuare i buoni, i cattivi, l'eroe, il traditore, il feeling sentimentale fra due personaggi, ecc. Anche se per la trama si preferisce rimandare ai link, ci sembra utile ricordarla in maniera molto sintetica. «Al tempo in cui gli Arabi occupavano gran parte della Spagna, i figli di un re di Francia si trovavano ad essere ospiti del duca di Chateaurouge, loro nonno materno, in un castello al confine franco-spagnolo. Un capo arabo, sperando di prendere in ostaggio i reali di Francia, sconfinò con la sua truppa e si avvicinò la castello...», così la voce fuori campo nelle sequenze d'apertura. Aggiungiamo che il re di Francia in quei luoghi manda Rolando, conte di Besançon, accompagnato dal suo scudiero, Lanciotto per riportare i due reali a Parigi. A Chateaurouge, però, c'è un traditore, Gontrano, capitano dei soldati di ventura. Venutolo a sapere da due zingari che aveva salvato dal rogo, e che si mostreranno preziosi alleati, Rolando decide di presentarsi al castello sotto le mentite spoglie del suo scudiero Lanciotto, che, a sua volta, si presenterà come il conte di Besançon. Prima di giungere a Chateaurouge, i due, insieme agli zingari, si scontrano con una pattuglia araba, che viene annientata eccetto un soldato creduto inizialmente morto. Sorpresa: si scopre che costui è una donna, Suleima, figlia del capo degli Arabi, che viene catturata e portata al castello. Questa la situazione di partenza. In seguito, agguati, tradimenti, duelli, e colpi di scena animeranno la storia per raggiungere l'apoteosi con un finale da "arrivano i nostri": mentre infuria la battaglia finale, arriva il re di Francia con la sua truppa. E qui va precisato che tali sequenze evidenziano, invece, che l'arrivo del re di Francia e dei suoi è perfettamente inutile per quel che riguarda l'esito della battaglia finale: Rolando e i suoi stanno per avere ragione degli avversari. L'arrivo del re di Francia affretta la fine dello scontro. Il Medioevo che qui viene rappresentato è quello "delle donne, dei cavalieri, delle armi, degli amori" e del botteghino. Un Medioevo di cartapesta, dove gli abiti sono rinascimentali (e quelli della zingara da stereotipo: ampia gonna colorata, camicia bianca e gioielli), dove al posto degli orologi da tavolo ci sono le clessidre da tavolo, dove gli arabi hanno nomi improbabili (Achirro, Basirocco...), dove nei duelli e nei combattimenti, anche i più duri, non viene versata una sola goccia di sangue (ma forse, visti gli attuali tempi cinematografici, e non solo, meglio così), e via dicendo. Completa il quadro la storia d'amore fra il conte di Besançon e la bella Suleima: ovviamente a lieto fine, grazie ad un escamotage: si scopre che la madre di lei era cristiana e che l'aveva battezzata con le sue mani prima di morire.
Il film insomma è di quelli che rispecchiano (e rafforzano) l'immagine del Medioevo nella cultura diffusa. A questo proposito si impongono alcune precisazioni. Anzitutto che ad occupare gran parte della penisola iberica erano popolazioni berbere islamizzate e non arabi. Astutamente, il film si tiene alla larga da precise periodizzazioni; si ricordi la voce fuori campo in apertura: «Al tempo in cui gli Arabi dominavano gran parte della Spagna... i figli di un re di Francia...». L'ambientazione è indeterminata (oscilla, all'incirca, fra il VII e il XII secolo), anche se, a voler giocare con la cronologia, la si potrebbe restringere ad un periodo compreso tra la fine del IX e la metà del XII secolo, quando ormai il regno di Francia non confina con nessuno stato "arabo". Più concretamente, non si comprende perché nell'ottima sintesi su cinematografo.it si scriva che il periodo è quello in cui regnava Luigi VII. Il film poi, rischia di far passare l'idea che la Spagna e la Francia fossero due regni organizzati secondo il modello dello Stato- nazione. Molto lontano dal vero se si tiene conto, a prescindere dal fatto che l'idea di confine nel Medioevo non è quella attuale, della frammentazione politica della penisola iberica (e nel film vi si accenna) e di una monarchia, quella francese che, sia pure sulla via del rafforzamento del potere centrale, era ancora basata su legami personali. E in ogni caso appare difficile immaginare un conte di Besançon vassallo e pronto a scattare agli ordini del re di Francia, visto che Besançon apparteneva allora alla Franca Contea, possedimento dei duchi di Borgogna e annessa alla Francia nel XVII secolo. Noticina conclusiva. Visto oggi, il film assume il sapore di un prodotto artigianale per il grande pubblico. Un film di cui occorre sottolineare l'eccessivo humour dei dialoghi, aspetto che si riscontra nei coevi peplum e, subito dopo, negli spaghetti-western. Anche se la battuta migliore viene detta involontariamente in un dialogo fra Basirocco ed un altro "arabo": «Che Allah ce la mandi buona», «Amen» (!). Un film di quelli, infine, che facevano il loro giro fino alle terze visioni ed alle sale parrocchiali.
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©2005 Gaetano Pellecchia