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Seconda visione a c. di G. Pellecchia |
I film di Pasolini ambientati nel Medioevo
«Sono una forza del passato/vengo dai ruderi, dalle rovine…». Questi
versi sono pronunciati da Orson Welles ne La
ricotta (episodio di Rogopag),
ma rappresentano due punti fermi del pensiero di Pier Paolo Pasolini.
Il primo è che uno dei compiti del poeta (e dell’intellettuale) è
quello di trasformare una tradizione letteraria e culturale agendo
“dall’interno”. è facile riscontrare, qui, l’elemento che la critica indica come
maggiormente caratterizzante la vita e le opere di Pasolini: la
contraddizione, l’essere contemporaneamente dentro e fuori la
letteratura, la società, il mondo intellettuale, la politica, ecc.
Secondo punto è il Medioevo come periodo storico in cui si
“forma” il popolo italiano – quell’”Italia millenaria” che
Pasolini, in una famosa poesia, scorge sotto le palpebre di Ilaria del
Carretto, la statua del famoso monumento funebre realizzato da Jacopo
della Quercia – e la sua cultura, periodo “vitalistico” in cui
non ci sono scarti fra cultura “alta” e cultura popolare. Pasolini ha ribadito spesso tali convinzioni, negli articoli come nei
saggi, nelle poesie come nei film di ambientazione medievale. Sui tre film
di Pasolini ambientati nel Medioevo si è scritto molto.
Ricordiamone almeno i titoli: Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una notte. Come si vede, si tratta di trasposizioni cinematografiche di tre
raccolte di novelle che hanno segnato profondamente la cultura
dell’umanità e che si connotano, fra l’altro, per unire i tratti
della letteratura più alta con l’ampia diffusione e il consenso
popolare. Per Pasolini, quindi, modelli esemplari del suo Medioevo. Nel Decameron e ne I
racconti di Canterbury Pasolini interpreta due ruoli. Egli è un
“allievo di Giotto” (personaggio sul quale si
cercherà di fare chiarezza più avanti) nel Decameron,
mentre ne I racconti di
Canterbury è Geoffrey Chaucer, lo stesso autore dei racconti. I due ruoli sono estremamente indicativi della concezione che
ha Pasolini degli intellettuali-artisti e del Medioevo. Pasolini, dunque, interpreta i ruoli di un pittore e di uno scrittore di età medievale. Il pittore è un “allievo di Giotto”, cioè del pittore toscano (1266? – 1337) che ha modificato i canoni rappresentativi della pittura. Lo scrittore è Geoffrey Chaucher (c.1347 - 1400), annoverabile fra coloro che hanno posto le basi della moderna letteratura. Vissuti dunque in età medievale, entrambi hanno innovato muovendo da una solida conoscenza dei canoni espressivi nei rispettivi campi. Entrambi hanno realizzato opere di alto esito artistico destinate ad essere fruite da un pubblico vasto ed eterogeneo (soprattutto Giotto). Per questi motivi, entrambi rappresentano, per Pasolini, quel modello di intellettuale che rinnova le arti senza tradire il passato e restando in sintonia con il “popolo”. Il pittore e lo scrittore interpretati da Pasolini sono uomini e artisti pienamente calati nel loro tempo, consapevoli della fatica e del piacere che procurano rispettivamente la pittura e la letteratura.
eterogeneo. Se poi si assume (come si è
visto, con poca arbitrarietà) che il pittore interpretato da Pasolini
sia Giotto, alle caratteristiche dell’artista medievale bisogna
aggiungere gli elementi di novità introdotti da Giotto nella pittura:
realismo (soprattutto) dei personaggi, nuova percezione degli spazi e
dei volumi, uso del colore. Giotto pittore innovativo, come anche fu
riconosciuto dai suoi contemporanei (Dante, Villani, più tardi
Vasari); la stessa novella del Decameron è un elogio delle grandi
qualità di Giotto, oltre che una testimonianza della sua popolarità.
Ma è nel Libro dell’arte, scritto da Cennino Cennini sul finire del XIV
secolo, che si trova una sintetica ed efficace definizione della novità
apportata da Giotto nella pittura: «rimutò l’arte di greco in
latino, e ridusse al moderno», cioè ha superato i metodi statici ed
iconici della pittura bizantina per approdare ad una pittura
realistica. Discorso analogo si può fare per Geoffrey Chaucer. Uomo di vasta
cultura, classica e contemporanea, attento soprattutto alla
letteratura di area italiana e francese, Chaucer fu parlamentare e
uomo di corte; la sua produzione letteraria toccò i generi allora più
in voga, ma con gli incompiuti Racconti
di Canterbury (in versi, va ricordato) egli segnò una svolta
nella letteratura, sia per il forte carattere realistico impresso ai
personaggi e alle vicende, anche rispetto al Decameron,
sia perché innovò, soprattutto da un punto di vista linguistico, la
letteratura e la cultura inglese. Pasolini sembra veramente calato nei due personaggi, tanto da esaltarne
le specificità. Nel ruolo del pittore egli si aggira per Si rende qui necessaria una precisazione. Lo studiolo in cui Pasolini-Chaucer
ultima i Racconti di Canterbury
richiama un quadro famoso di Antonello da Messina: S. Girolamo nel suo studio. Questa citazione pittorica dai forti
connotati umanistici ha indotto alcuni studiosi, in particolare Gianni
Canova, a considerare opposti i personaggi di
Giotto (popolare) e Chaucer (intellettuale, umanista). Si
tratta di una tesi che qui, per quanto si è scritto finora, non può
essere condivisa. La citazione del quadro di Antonello da Messina si
può ricondurre al carattere attribuito da Pasolini allo scrittore nel
film: popolare (innovatore) e letterato (uomo della tradizione) al
tempo stesso. Oltre alla “contraddizione”, la critica ha individuato come altro aspetto unitario della poetica pasoliniana: la presenza dell’artista e del suo vissuto nelle sue opere, sempre, però, all’insegna della lacerazione e del contrasto. La “presenza” di Pasolini in questi film è rinvenibile nel fatto che egli faccia anche l’attore. Eppure, ci si potrebbe spingere ad affermare che nel Decameron e ne I racconti di Cantrbury Pasolini riesce forse a trovare un equilibrio con il mondo. Nella finzione, egli è l’artista innovativo e tradizionale al tempo stesso, in piena sintonia con il popolo e la società del tempo, in rapporto non controverso con le sue opere: i volti che contemplano l’affresco ultimato, Chaucer che sereno, quasi ridente, mette la parola fine ai Racconti, ne sono prova. Anzi, il fatto stesso che Pasolini-Chaucer concluda un’opera nella realtà incompiuta ci pare indicativo della “realizzazione” di Pasolini nel Medioevo della finzione cinematografica, e quindi del Medioevo come rifugio dal presente.
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©2008 Gaetano Pellecchia