Circa cinquant'anni separano
l'Enrico V di
Laurence Olivier dal Riccardo III di Al Pacino. Una delle differenze più evidenti tra i due film è il "ruolo"
dell'attore.
Il film di Olivier ha come obiettivo principale quello di rendere il dramma storico
- ma sarebbe meglio dire il teatro - di Shakespeare con la maggiore fedeltà possibile, utilizzando le potenzialità del mezzo cinematografico. Per far questo, egli non effettua una sterile ripresa della rappresentazione
dell'Enrico V, ma porta lo spettatore al primo giorno di maggio del 1600, direttamente nel "Globe Theatre". In questo modo, il moderno spettatore assiste al duplice spettacolo
dell'Enrico V e della sua messa in scena al tempo di Shakespeare. Questo secondo aspetto è evidente soprattutto nelle sequenze iniziali e conclusive del film, dove la "macchina teatrale" è mostrata in piena attività. Ai fini del nostro discorso, è possibile assistere alle veloci vestizioni degli attori ed al loro sincronismo con la rappresentazione. Insomma, il "dietro le quinte" escogitato da Olivier è, come si è in parte detto, un modo per evitare la staticità del "teatro filmato" e, nel contempo, un mezzo per far entrare lo spettatore nel mondo shakespeariano e renderlo così più partecipe della rappresentazione.
Diverso il "dietro le quinte" di Al Pacino. L'attore è anche intellettuale, che indaga e si interroga sul teatro di Shakespeare e su
Riccardo III. E questo lavoro non è svolto solo da Al Pacino, ma dall'intera compagnia. Lo spettatore, dunque, segue la fase di preparazione del dramma, fatta di letture collettive del testo, di discussioni sul teatro shakespeariano e sulle sue modalità di rappresentazione, di viaggi al "Globe Theatre" ricostruito, di interviste ad attori, critici e registi shakespeariani ed ai passanti newyorkesi. Questo lavoro preparatorio e di ricerca è funzionale alla rappresentazione, realmente avvenuta, del
Riccardo III nei teatri americani. Non sappiamo a quale messa in scena abbia portato quel lavoro di preparazione. Sullo schermo, però, ognuno dei momenti preparatori precede, in genere, la rappresentazione vera e propria, che non avviene in presenza di spettatori ed è incentrata sulla messa a fuoco di alcuni momenti-chiave del dramma.
I due diversi modi di rappresentare il "mestiere dell'attore" hanno inoltre influenzato la regia
dei due film. Proviamo a sviluppare questa affermazione, anche se da quanto scritto finora si può ricavare una qualche minima indicazione. Va comunque precisato che i circa cinquant'anni che separano i due film in oggetto hanno visto notevoli trasformazioni sia nel campo teatrale che in quello cinematografico e che tali trasformazioni impediscono, per alcuni aspetti, una comparazione tra i due film a livello formale. Basterà però ricordare che il film di Olivier fu fortemente innovativo e che il
Riccardo III di Al Pacino è figlio proprio delle trasformazioni avvenute negli ultimi decenni in seno al linguaggio teatrale e cinematografico. L'aspetto su cui ci si vuole soffermare è la funzionalità avuta da due modi diversi di concepire sia l'opera shakespeariana che il ruolo dell'attore chiamato ad interpretarla sulla regia e sull'economia narrativa delle trasposizioni cinematografiche
dell'Enrico V e del Riccardo III qui prese in considerazione.
L'Enrico V ha, come si è scritto, lo scopo di far assistere lo spettatore cinematografico al duplice spettacolo dell'omonimo dramma storico e della sua rappresentazione in età elisabettiana. Per quanto i due aspetti siano strettamente (e magnificamente) intrecciati, è spesso possibile riscontrare due diverse modalità di narrazione. La prima riguarda il contesto. Esso è reso con le riprese del prologo, dei cambi di scena, dei cambi di costume degli attori, dell'arena e delle gallerie. Non solo: quando è possibile, viene evidenziata una certa "interattività" fra il pubblico e gli attori. Si tratta di riprese che evitano, quando è possibile, i dettagli
e i primi piani e prediligono la gamma delle inquadrature ampie ed i movimenti di macchina. Il risultato è un quadro mosso e vivace del teatro e del pubblico del tempo. La seconda modalità narrativa riguarda la rappresentazione vera e propria. Essa non domina da subito il film, anzi, nelle sequenze iniziali vi è un perfetto gioco ad incastro, spesso ottenuto attraverso il "montaggio interno", fra il contesto teatrale e la rappresentazione. Dalle sequenze relative all'imbarco per la Francia, però, il dramma storico diviene sempre più centrale e il contatto con il teatro è tenuto solo dalla voce fuori campo del prologo.
è in questa parte, più "cinematografica", che Olivier sfrutta tutte le potenzialità, allora concesse, del mezzo cinematografico, adattandole ai canoni recitativi dell'epoca. E dunque: primi piani, controcampi e figure intere prevalentemente utilizzati durante i monologhi e i dialoghi; panoramiche e movimenti di macchina nelle scene di battaglia, e così via. Un modo di riprendere "classico", ma non per questo poco efficace.
Nel Riccardo III di Al Pacino - il cui titolo originale è, non a caso,
Looking for Richard (Cercando Riccardo) - non c'è l'incastro fra mondo e rappresentazione. Le due parti sono perfettamente staccate ed ogni momento della vera e propria rappresentazione del dramma storico è, come si è scritto sopra, preceduto e preparato da un intenso lavoro di approfondimento riguardante il teatro shakespeariano, la scena da rappresentare ed il personaggio Riccardo III, di cui si analizzano finanche i riflessi psicologici della postura e del modo di camminare. La macchina è spesso "incollata" al protagonista, a cercare di carpirne gli oscuri moti dell'anima e della mente. A volte stringe su di lui, altre volte lo segue da lontano. E dove non arriva la macchina da presa arrivano il veloce montaggio ed il
ralenty. Non interessano qui scenografie "realistiche". Il dramma è tutto nell'uomo e nell'ambiente di corte. Per rappresentarlo, basta la scarna scenografia di un castello
medievale.
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