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STAR WARS EPISODIO II - L'ATTACCO DEI CLONI
(Star Wars Episode II - Attack of the Clones)
2002, regia di George Lucas
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Intervista a George Lucas (di Mario Sesti, dal sito kataweb.it, 16 maggio 2002): «Mr. Lucas, non ha mai paura che affidarsi completamente alle nuove tecnologie, come fai lei, possa significare inevitabilmente, perdere qualcosa dal punto di vista delle necessità dello stile e dell'estetica?
«è importante ricordare che ogni arte è anche tecnologia. Il passaggio dalla tradizionale tecnica fotochimica del cinema al digitale, non è diverso da quello cui assistette l'arte figurativa occidentale nel passaggio dalla tecnica dell'affresco a quella della pittura ad olio. Per la prima era necessario una equipe numerosa di persone che preparavano la base, combinavano i colori e assistevano il pittore. Con la pittura ad olio, invece, l'artista poteva fare tutto da solo: un guadagno incredibile in termini di libertà, flessibilità e possibilità. Ma questo non significa che Rubens sia Migliore di Michelangelo o viceversa. Io amo entrambi».
Giacca color cuoio, l'immancabile camicia scacchi (grigia) e audaci stivaletti rosso pompeiano, che emergono appena sotto i jeans, Lucas risponde alla domanda senza scomporsi. è una domanda alla quale deve aver risposto già centinaia di volte. L'incontro, ovviamente assai gremito, del quale è stato protagonista a Cannes il regista vivente di maggior successo, ha visto un fitto scambio di domande e risposte tra la platea e l'autore. Si sono alternate dichiarazioni di gratitudine e trasporto per il creatore della saga mitologica e fantascientifica che vanta legioni di fan in tutto il mondo a questioni personali e interrogativi tecnologici che ruotavano intorno al destino dell'esperienza del grande schermo. Nessuno più di lui, con lo sviluppo degli effetti speciali, la creazione di nuovi standard del sonoro e, soprattutto, l'imminente introduzione delle proiezioni digitali - al festival Episodio II - L'Attacco dei cloni è stato proiettato proprio con questa nuova tecnologia - ha contribuito a trasformarla e ancor più promette di farlo in futuro. Ma nei prossimi anni Lucas non si limiterà a creare e promuovere l'applicazione di nuove tecnologie al cinema. Come ha rivelato sin dalle prime battute dell'incontro.
Quali saranno i suoi futuri progetti?
«Dopo aver completato le sei parti che componevano Guerre stellari sin dal momento in cui l'ho scritto, trent'anni fa, ho intenzione di dedicarmi esclusivamente alla regia. Ho smesso di dirigere film, dopo il primo episodio, perché ho messo su famiglia e mi sono occupato, un po' come fanno i produttori tevlevisivi, dello script, della scelta degli attori, dell'edizione finale. Tuttavia, le sfide tecnologiche che i film ponevano, mi impedivano di poter essere sul set ogni giorno a dirigerli. Ma ho continuato a scrivere, anche in passato e ho diverse sceneggiature già complete. Francis Coppola, mio amico e mentore, sostiene che Guerre stellari mi ha 'sequestrato' per parecchi anni. Ora ho intenzione di ritornare lì da dove sono partito, dal mio film d'esordio THX 1138, e continuare ad esplorare nuove e diverse possibilità di esprimersi con il cinema. Anche realizzando progetti non 'narrativi'».
Le nuove tecnologie digitali sono, o saranno presto, in grado di permettere la sostituzione di attori all'interno dello stesso film o di usare le immagini di attori di un film per farli recitare in uno diverso. Non pensa che questo possa essere pericoloso?
«è possibile, con il digitale, conservare per sempre la voce, la mimica, l'immagine di un attore. E questo penso sia un bene. Ma non penso sia possibile farlo recitare come è capace di fare solo un essere umano vivente. Al digitale manca la 'presenza' di un attore che è importante quanto la sua capacità di recitare. La gente va in un cinema perché è legata all'idea di veder rievocato sullo schermo un momento reale della vita di un attore che ama. Non penso affatto che lo sarebbe se dovesse assistere ad un film dove con il digitale hanno ricreato Marilyn Monroe o Greta Garbo».
E cosa risponde a chi sostiene, spesso gli attori stessi, che recitare nei suoi film con la tecnica del "blue screen" (grazie alla quale gli attori vengono ripresi in una scena vuota e poi, in fase di edizione, vengono aggiunti fondali, spazi e oggetti, n.dr.), sia molto frustrante e produca delle interpretazioni non esaltanti?
«Il cinema di Guerre stellari richiedeva un stile di recitazione molto simile a quello dei film hollywoodiani degli anni trenta. Del resto recitare in un set vuoto, in cui si finge vi siano paesaggi e strutture fisiche reali, somiglia molto allo stile di recitazione del teatro. Penso che sia sbagliato adottarlo per film ambientati nel mondo contemporaneo dove è naturale che gli attori recitino in spazi reali, uno stile che si è diffuso largamente nel cinema a partire dagli anni cinquanta. E penso che si continuerà ad adottare finchè sarà possibile girare film nelle strade e nei luoghi reali. Ma il digitale è un avanzamento tecnologico che innanzitutto risolve un problema industriale. Non è più possibile oggi, per gli alti costi, ricostruire una piramide o usare mille comparse. Con il digitale, sì. Esso aumenta le possibilità della creatività di un regista, non le limita».
Ewan Mc Gregor ha detto che La minaccia fantasma, del quale era interprete, era un film piatto e deludente.
«Quando ho ripreso a lavorare alla saga di Guerre stellari, un progetto, ripeto, che io ho sempre concepito in sei parti e che io volevo assolutamente terminare rimanendo fedele alla struttura con la quale era stato concepito (e che io avevo iniziato, per mia volontà, dall'episodio intermedio), molti erano scettici sul suo successo, anche all'interno della mia compagnia. 'Chi si affezionerà a nuove facce e nuovi eroi quando tutti i fan vorrebbero altre avventure con quelli del passato?' dicevano. Ma il successo della Minaccia fantasma, ha dimostrato che avevano torto. Certo, dovendo introdurre nuovi elementi che non comparivano nei film precedenti, (la Repubblica, l'Impero, i complessi conflitti economici e poltici) e probabile che il film abbia sofferto della presenza di momenti più tediosi di quanto sia accaduto negli altri film».
Lo sa che attualmente, in Malesia, per esempio, è possibile scaricare per tre dollari, da internet, il suo nuovo film?
«Il problema della pirateria e della difesa del copyright, con le tecnologie di cui facciamo uso oggi, è un problema molto impegnativo. Ma, a differenza di quanto ha scritto qualche giornale (come il Los Angeles Time), le copie pirata disponibili oggi, sono solo quelle che si scaricano da Internet, ovvero quelle registrate su videocamere da spettatori in sala. La loro qualità è spaventosa. Non è possibile invece che copie pirata del film possano essere proiettate in sala».
Lei è qui per presentare e promuovere la proiezione digitale in sala. Come mai è così impegnato in questo progetto che prevede la sparizione della pellicola di cui lei. Come cinefilo, non può che essere un appassionato?
«Sono qua, innanzitutto, perché gli europei hanno una mente più aperta e sensibile alle innovazioni di quanto accada in America. Ma lo sa quanti film sono scomparsi a causa del degrado della pellicola prima del 1950? Quasi la metà di quelli prodotti. Voi, che siete giornalisti, critici, cinefili, siete una minoranza che gode del privilegio di vedere ai festival le migliori proiezioni con le migliori copie, ma non avete idea di cosa accada nelle sale normali dove solo una piccola percentuale del lavoro del regista può essere fruito nei modi e nelle forme per le quali lui ha lavorato molto. Potete immaginare che diminuzione di qualità c'è tra la prima proiezione di una copia e la sua, diciamo, decima proiezione? La scelta del digitale è anche, innanzitutto, un atto di rispetto verso il grande pubblico, che ha il diritto di vedere un film nelle sue condizioni originali come me e come voi. La mia esperienza, in questo campo, è che ciò succede solo nel 5 per cento delle sale. Sono un amante della pellicola e sono uno dei soci della società americana impegnata nella conservazione e nel restauro della pellicola, ma scegliere il digitale significherà, finalmente, conservare al film la stessa qualità, in qualsiasi luogo venga proiettato e anche dopo migliaia di proiezioni"».