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testo di Giuseppe Losapio |
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Timeline
di Richard Donner, 2003
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Sicuramente il
film Timeline, diretto da
Richard Donner e tratto dall’omonimo libro del romanziere americano
Michael Crichton, non sarà ricordato negli annali della storia del
cinema di fantascienza, sia per la non brillante interpretazione
degli attori sia per l’esile trama che non rende giustizia al libro.
È la storia di un gruppo di studenti universitari collaboratori di
un archeologo americano, il prof. Edward Johnston, che opera in
Francia nei pressi di un villaggio medievale detto di Castelgard, sito tra un castello e una abbazia, teatro di uno
scontro feroce tra truppe francesi ed inglesi durante la guerra dei
Cent’anni. Gli scavi procedono normalmente quando il prof. Johnston
non scompare del tutto dopo un misterioso colloquio con la ITC
Corporation, finanziatrice degli scavi. A questo punto incominciano
strani rinvenimenti: lenti di occhiali tra gli strati più antichi
del monastero, una strana firma su un documento del XIV che richiama
esplicitamente il nome in latino del docente scomparso con una
richiesta d’aiuto. I giovani assistenti chiedono un incontro con i capi dell’azienda che finanzia i loro scavi e scoprono che questa ha costruito una macchina del tempo che porta i viaggiatori nel 1357 a Castelgard. Per questo motivo la grande azienda era interessata agli scavi che cerca riscontri tra le loro missioni nel tempo e le informazioni che gli scavi fanno emergere. I ragazzi sono risoluti a recuperare il loro docente e convincono la ITC a mandarli nel loro “amato” Medioevo. Il resto del film propone una serie monotona di scene di azione e momenti drammatici, in cui spicca una bella e fedele ricostruzione di un assedio a un castello.
Il lieto fine è quanto mai scontato: gli ingegneri della ITC
riescono a ricostruire la macchina del tempo, in tempo per far
ritornare gli eroi nel presente; i cattivi di turno, il capitano
inglese del castello e il manager senza scrupoli della ITC, vengono
sconfitti e l’assistente del professore si innamora di una
principessa francese e rimane nel “suo” Medioevo con un orecchio
mozzato, dopo uno scontro d’armi per la presa del castello. Tante occasioni sprecate per poter rappresentare il XIV secolo francese: il senso della vita e della morte, i rapporti tra uomini e donne, il cibo, tanti spunti che il film prende dal libro ma che non sviluppa e che appiattisce soltanto per descrivere dettagliatamente soltanto gli scontri e le tecniche di assalto e di difesa del castello. Insomma fari puntati su ciò che da spettacolo: la guerra. A queste scene si aggiungono momenti gratuiti e assurdi, come il taglio dell’orecchio dell’assistente del professore che non grida per il dolore, ma al contrario esulta perché capisce di essere lui il nobile raffigurato su una lastra tombale rinvenuta durante gli scavi.
Gli unici elementi interessanti della storia, che sono sviluppati
più compiutamente nel libro, sono il rapporto che si crea tra
medievisti e il Medioevo, da loro studiato e mai vissuto, e
l’immagine che il film dà dei medievisti. Nel primo caso è evidente
il processo di demistificazione dell’idea di Medioevo che hanno i
giovani studiosi. A contatto con la spietatezza della realtà
medievale viene meno quell’idealismo, una visione romantica, e anche
un po’ ludica, che ha influenzato l’immaginario collettivo creando
una età di mezzo fatta di cavalieri cortesi e valorosi e di un
rapporto idilliaco tra uomo e natura. La realtà è tutt’altra e
porterà alcuni di loro a dover rivedere la loro passione verso
un’epoca che è solo nella loro testa. Più interessante è il secondo spunto di riflessione. Qual è l’immagine che offrono degli studiosi del Medioevo? I medievisti vengono qualificati come archeologi anche se si trovano spesso a leggere pergamene, catalogare codici e descrivere le forme di scrittura usate: tipico lavoro dello storico e non dell’archeologo. Per quale motivo la figura dell’archeologo è deputata a rappresentare lo storico nella filmografia americana? È forse l’immagine del mitico archeologo creato da Spielberg, Indiana Jones, che influenza le scelte iconografiche degli autori? O c’è altro? Sicuramente l’archeologo che prende il volto di Harrison Ford, ha un ruolo importante nella filmografia americana nel aver caratterizzato la figura dell’archeologo-avventuriero, e questo film ne presenta una versione in miniatura, dove i giovani studiosi si trovano a scalare case di paglia e legno o ad attraversare passaggi sotterranei, ma negli States il lavoro storico è molto differente rispetto a quello che avviene in Europa.
Oltreoceano è molto forte l’impronta della New history (nuova storia) nata nei paesi anglosassoni assieme alla New archeology, con lo scopo di ricreare ambienti ed eventi storici dal vivo. Non è difficile trovare negli Stati Uniti d’America corsi universitari in cui lo scopo primario è quello di ricostruire eventi storici attraverso miniature o con l’organizzazione di manifestazioni di ambientazione storica. E questa particolarità è molto forte sia nel libro che nel film, che mostra ricostruzione di battaglie con miniature oppure momenti in cui i personaggi sono ripresi a destreggiare con le spade o nel tirare con l’arco. Il film non mostra l’aspetto laboratoriale di questo modo di fare ricerca, ma rappresenta un gruppo di persone che si occupano di reperti inanimati o di scontri con le spade, come se fosse un passatempo e non un momento di studio. Timeline è una scommessa persa. Un film con idee e premesse interessanti sacrificati ad una trattazione approssimativa che gravita a quella che sarà il colpo di scena centrale ovvero la battaglia di Castelgard. Un film d’azione che pone domande interessanti ma risposte superficiali o pressappochiste.
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©2008 Giuseppe Losapio