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testo di Anna Maria Colonna |
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Non ci resta che piangere
di Roberto Benigni e Massimo Troisi, 1984
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Frittole (paesino vicino Firenze), XX secolo. Due amici, Saverio, un maestro di scuola elementare, e Mario, un bidello, percorrono in macchina le strade della loro città, chiacchierando del più e del meno: Saverio (Roberto Benigni) confessa la sua preoccupazione per lo stato di salute della sorella Gabriellina, abbandonata dal fidanzato dopo una relazione durata parecchi anni, e chiede a Mario (Massimo Troisi) un aiuto affinché la ragazza riesca a “svagarsi”. Nel momento in cui la conversazione si fa abbastanza animata, i due si ritrovano fermi ad un passaggio a livello, ma, non volendo aspettare il transito di un numero indefinito di treni, decidono di imboccare una sconosciuta stradina di campagna, che li condurrà nel XV secolo, precisamente nel 1492. Impazienti di attendere che il passaggio a livello si alzi, Mario e Salvatore, girovaghi in un’epoca a loro ignota ed in un luogo che, seppur familiare, risulta irriconoscibile agli occhi di un uomo del novecento, saranno presi dal forte desiderio di vedere un treno che, viaggiando nel tempo, li riporti a casa. Non ci resta che piangere, film scritto, diretto ed interpretato da Massimo Troisi e da Roberto Benigni (l’unico realizzato in coppia dai due autori-attori), rimase in vetta alla classifica degli incassi della stagione cinematografica 1984 -1985, a causa del suo enorme successo al botteghino; nonostante abbia ricevuto un forte apprezzato da parte del pubblico e nonostante alcune sue scene siano rimaste celebri (si pensi a quella del predicatore ambulante che ricorda a Mario l’inevitabilità della morte, o a quella della messa, durante la quale “il bidello” conquista il cuore di Pia, la più ricca del paese, personaggio interpretato da Amanda Sandrelli), il film è stato continuamente criticato; si ricordi, ad esempio, il giudizio espresso da Michele Anselmi su “L’Unità”, 21 dicembre 1984: «Vedendo Non ci resta che piangere i dubbi si accavallano e s'incrociano, lasciando anche allo spettatore più ben disposto un vago senso di insoddisfazione. Il fatto è che, a dispetto del titolo autoironico, pensato e diretto in amicizia, stenta ad accendere il sorriso»; o quello di Francesco Mininni, “Magazine Italiano Tv”, che sottolinea la non vocazione alla regia di Benigni e Troisi. Ma non mancano parole positive in favore della pellicola: «Il viaggio nel tempo è un classico dell’immaginario cinematografico. In questo film a viaggiare nel tempo sono due straordinari cavalieri picareschi. Sono l’unica possibile coppia comica del moderno cinema italiano…», afferma Walter Veltroni.
«Ghiribizzo tosco-partenopeo dei nostri Benigni e Troisi», definisce
il film Giovanni Grazzini. Semplice e divertente, Non ci resta
che piangere mette in evidenza la simpatia e l’estro dei due
protagonisti (come asseriscono Laura e Morando Morandini) che,
vestiti i panni dei viaggiatori, tentano goffamente di assumere
l'abbigliamento, il linguaggio e le usanze dell’epoca, risultando,
però, quasi sempre fuori luogo: la spontaneità e la comicità di
Mario e Saverio coinvolgono lo spettatore in maniera totale,
rendendolo partecipe delle loro rocambolesche avventure. Impossibile
non menzionare il testo della lettera che i due scrivono a
Savonarola (il frate domenicano vissuto tra il 1452 ed il 1498) per
liberare Vitellozzo (Carlo Monni) dalla prigione (remake della scena
della dettatura della lettera in Totò, Peppino e la Malafemmina): Buffo Leonardo da Vinci, che mette da parte il suo esperimento con palette e acqua per ascoltare le confuse idee dei due finti scienziati sul funzionamento dei treni, del termometro e su Freud… e lo ritroveremo alla fine della scena intento ad imparare a giocare a scopa con le carte! Originale l’idea di Saverio di raggiungere a Palos, in Spagna, Cristoforo Colombo per impedirgli di partire con le tre caravelle e di scoprire, quindi, l’America, causa degli infiniti mali della modernità! Medievale per le personalità che gradualmente compaiono in scena (secondo la periodizzazione più diffusa, il Medioevo si concluderebbe nel 1492, anno della scoperta dell’America), il film rivela particolarità medievali anche negli abiti dei personaggi (donne del popolo con lunghi “camicioni” e con copricapi fatti di semplice tela bianca); nelle stoviglie utilizzate nelle varie locande e taberne in cui Mario e Saverio si fermano a mangiare (per esempio quella di Palos), in legno e terracotta; in usanze appena accennate (il frate predicatore che gira per il villaggio ammonendo gli uomini, il gioco della palla che affascina così tanto Pia, la pipì che gli abitanti del paese gettano dalle finestre).
Medievali sono i tre fiorini (moneta fiorentina d’argento o d’oro, coniata a partire dal secolo XIII) che i due compagni sono obbligati ripetutamente e comicamente a pagare come pedaggio per oltrepassare una linea di frontiera. Ma non certo medievali sono le canzoni che Mario è costretto a cantare per avere dei casti baci da Pia, conquistata più dall’Inno di Mameli, da Yesterday o dalla canzone Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno che dalla bellezza del giovane amante!
Curiosa la scena della messa, durante la quale, per una specie di codice normativo, è fatto divieto agli uomini di distogliere gli occhi dalle donne, che, con il loro sguardo, possono ricambiare l’attenzione del corteggiatore (e questo richiama un po’ la storia di Laura e Petrarca): «Con lo sguardo gli devi far capire che hai capito», consiglia Vitellozzo a Mario quando si accorge che Pia si gira per fissarlo; ma Mario, ingenuamente, si rivolge alla fanciulla sussurrando: «Sì, sì, ho capito». Successivamente presentato nella Repubblica Ceca dal critico cinematografico Zderek Zaoral e girato, in parte, nella selva di Palliano, il film possiederebbe due versioni, una inedita, in cui entrambi i protagonisti si innamorano di Astriaha, l’Amazzone (Iris Peynado), ed affrontano, per questo, una serie di avventure; una, quella conosciuta, in cui Mario e Saverio, svenuta Astriaha, scappano, incontrando, durante la fuga, Leonardo da Vinci. A proposito di costui, la locomotiva che appare nel finale è uno degli ultimi tre esemplari conservati (e funzionanti) del Gruppo 400 della Società Mediterranea per le Ferrovie Calabro-Lucane. Ma, oltre a questo finale, ne circola anche uno alternativo, mandato in onda dalla RAI: Saverio conosce il modo di tornare nel XX secolo, ma è disposto a rivelarlo solo a condizione che Mario sposi sua sorella. Il film di Benigni e Troisi comincia con un percorso nello spazio di una piccola città per poi concludersi con un viaggio nel tempo e nella storia: un itinerario magico che conduce non solo i protagonisti, ma ogni singolo spettatore, nel cuore del XV secolo.
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©2008 Anna Maria Colonna