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testo di Anna Maria Colonna |
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Ettore Fieramosca
(La disfida di Barletta)
di Alessandro Blasetti, 1938
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«Éomer era ritornato freddo e severo, e la sua mente era di nuovo limpida e chiara. Fece suonare i corni per radunare intorno al suo stendardo tutti gli uomini disponibili; pensava infatti di ergere un gran muro di scudi e di resistere in piedi, lottando fino alla fine, e compiere gesta che i menestrelli avrebbero cantato per molti anni, se alcuno fosse rimasto vivo in Occidente per ricordare l’ultimo Re del Mark. Cavalcò quindi sino a una verde collinetta e vi piantò il suo vessillo, e il Cavallo Bianco galoppò nel vento.
… il desiderio di combattere si era nuovamente impadronito di lui, ed egli era illeso, ed era giovane… e alzò la spada in segno di sfida» (J. R. R. Tolkien, Il Ritorno del Re). Il Cavallo galoppò nel vento, bianco se ne andò, ma il sangue di una feroce battaglia ne tinse di rosso il crine, facendo credere a Giovanna di Morreale che il suo Ettore fosse morto. E alla vista dell’amata, caduta dal bianco destriero a causa della stanchezza del viaggio e per il dolore dei recenti avvenimenti, il cavaliere riprese vigore ed energia e decise di andare ad affrontare i francesi, che, nel frattempo, prigionieri degli spagnoli, si divertivano ad insultare gli italiani. Ettore Fieramosca radunò i suoi uomini (erano tredici in tutto), risoluto nel risolvere una volta e per sempre la contesa. E le sue gesta, anche se non sono i menestrelli a cantarle, vengono ancora oggi celebrate: Alessandro Blasetti, nel 1938, gli dedica un film, Ettore Fieramosca, liberamente ispirato a un romanzo (1833) di Massimo D'Azeglio, il quale era già stato filmato, nel 1909, da Ettore Pasquali, e, nel 1915, da Umberto Paradisi e Domenico Gaido. Certo, Éomer ed Ettore Fieramosca non avrebbero nulla in comune se questa breve sequenza, tratta da Il Ritorno del Re, non avesse messo in risalto alcuni tratti dell’ultimo Re del Mark, quali la determinazione, l’energia, la forza, il vigore ed il coraggio. Rileggendo la citazione di Tolkien, pare davvero di trovarsi dinnanzi alla scena del film di Blasetti in cui Giovanna ed il suo cavallo bianco arrivano all’accampamento dove Ettore Fieramosca, quasi moribondo (come viene definito dai suoi compagni), sosta silenzioso. Ma facciamo un salto indietro ed analizziamo il film sin dalle sue prime scene. Anno 1500. La Francia, cacciato Lodovico il Moro dal Ducato di Milano, tende alla conquista del Reame di Napoli. Alla stessa conquista ambisce la Spagna e tiene pronto un esercito in Sicilia. Ne deriva la minaccia di una guerra fra le due nazioni. Il racconto ha inizio ai bagni termali di Pau, nei Pirenei… Blasetti offre, inizialmente (e non solo), allo spettatore la lettura di alcune parole, affinché egli possa meglio seguire la storia. Francesi e spagnoli si verranno incontro in Italia «con il linguaggio delle Muse e delle corti», dal momento che essi continuano a parlare, ognuno, la propria lingua: nel «lo bel paese là dove si suona», i francesi calando dal Nord e gli spagnoli risalendo dal Sud, occuperanno quei territori che hanno deciso di spartirsi. Una delle terre dell’incontro è il ducato di Morreale, dichiarata zona neutra. Sullo sfondo appare il castello, all’interno del quale Giovanna di Morreale, seduta in trono e vestita completamente di bianco, riceve il messaggero di Graiano d’Asti (ucciso, poi, da Francesco Salomone, eroe della Disfida di Barletta che visse a Sutera, dove sono ancora visibili i resti medievali della sua casa), che le annuncia la visita del suo signore: «Vuole farti offerta del suo braccio e della forza della compagnia che viene ad assoldare qui, chiedendo di essere ammesso alla tua presenza e di parlarti di quello che sai». La giovane donna offre ospitalità a Graiano, affermando che il suo castello è sempre aperto a lui ed ai suoi cavalieri.
La fortezza abitata da Giovanna possiede molte delle peculiarità tipiche dei castelli medievali: un ponte levatoio di legno, spia della presenza di un fossato; la merlatura, ovvero un'alternanza di settori pieni e vuoti nella parte terminale della muratura, così da formare una sommità dentata; la presenza, in molte sale, di sculture raffiguranti un leone (diffusissimo nell’araldica medievale come emblema di regni e monarchi: fra i numerosi stati nordeuropei rappresentati da questo animale ricordiamo il Belgio, la Scozia e, soprattutto, l’Inghilterra, dove, nella seconda metà del XII secolo, lo stesso re Riccardo I fu soprannominato “Cuor di leone”; inoltre, nel Medioevo, il leone appare spesso in letteratura come simbolo di superbia, secondo la tradizione dei bestiari: a questo proposito si può menzionare il Canto Primo dell’Inferno dantesco e la relativa illustrazione di Gustave Doré). Inoltre, nel Medioevo, è consuetudine dei signori assumere al soldo compagnie di soldati mercenari: tali sono, solitamente, i fanti tiratori e tali si definiscono gli uomini che Graiano va ad assoldare presso il castello di Morreale: «È questo il famoso castello di Morreale, dove si assoldano le lance?... e allora va’ da Messer Graiano e digli che sono qua io, Ettore Fieramosca da Capua, con gente d’arme per la sua compagnia»… l’intervento del Fieramosca viene interrotto da un uomo, di cui il cavaliere si prende gioco: «Pietro l’Eremita, che voi fare, la predica? Lo sai com’è finito Fra’ Savonarola? L’hanno arrostito vivo, l’hanno…». Pietro L’Eremita e Girolamo Savonarola, due personaggi medievali: il primo, promotore della prima crociata e guida della cosiddetta crociata dei pezzenti, fu un prete francese vissuto nella seconda metà dell’XI secolo; il secondo, frate domenicano morto sul rogo, visse nella seconda metà del XV secolo. Gli insulti di Ettore hanno i loro effetti immediati: il faccia a faccia con Giovanna di Morreale mostra la determinazione ed il coraggio della donna, autoaccusatasi di aver ucciso il cavallo del Fieramosca. Il loro è un incontro-scontro che mette in evidenza l’idea che il cavaliere ha del genere femminile: « Che fai tu qui, che sei una donna? », « Ragazza, non voglio scordarmi che tu sei una donna »; la sua concezione è quella che percorre, in realtà, l’intero Medioevo, periodo in cui la donna dipende dalla tutela di un uomo, è analfabeta (tranne le principesse e le giovani destinate a farsi monache) e dedita al fuso e al pennecchio (Dante, canto XV del Paradiso), cioè alle occupazioni casalinghe. Ma Giovanna è ostinata e non tarda a mostrare il suo orgoglio: « Io tollero che tu mi guardi, soltanto se mi guardi con odio ». I riferimenti impliciti al Medioevo continuano nei nomi delle monete citate: gli assoldati vengono pagati in ducati, circolanti in pezzi d’oro e d’argento durante il XII ed il XIII secolo; i cavalieri scommettono fiorini (monete d'oro emesse, per la prima volta, a Firenze, nel gennaio del 1253) su chi vincerà lo scontro in atto tra francesi e spagnoli ai piedi del castello di Morreale.
Curiosa l’immagine di Ettore Fieramosca che gioca nell’acqua con i bambini, osservato dalla signora di Morreale, immobile sull’alto delle mura e persa, con lo sguardo e con la mente, nelle sua fantasticherie amorose. Curiosa la domanda che uno dei piccoli, desideroso di partecipare alla guerra contro i francesi e invitato dal Fieramosca a parlare a bassa voce, rivolge al cavaliere: «… e perché devo parlar piano, perché ci sono le streghe?!»: e chi non conosce queste terrorizzanti figure femminili, che hanno popolato e che ancora popolano l’immaginario collettivo, il quale le colloca soprattutto nel periodo medievale? Chi non ha mai sentito accennare alla caccia alle streghe? S parla di donne obbedienti al diavolo e pericolose per le loro pratiche magiche fin dall’Alto Medioevo! Ettore Fieramosca, avendo scoperto il tradimento di Graiano, che ha venduto la rocca e la terra di Morreale ai francesi, incita Giovanna a fuggire prima dell’arrivo dei nemici; egli attende, con atteggiamento di sfida e con la mano alla spada, il traditore ed i francesi, mentre sullo sfondo si staglia solitario il castello; Ettore viene colpito, ma riesce a sopravvivere: «Gli ho dato molto vino perché si riscaldi il sangue… ma ha cinque vite, come la tarantola». Per ciò che riguarda questo animale, si può far riferimento ad un fenomeno (divenuto, poi, usanza), tipicamente pugliese, definito tarantismo, che affonda le sue radici nel Medioevo e che è composto, principalmente, da tre elementi: il mito della taranta (la tarantola, appunto) e del suo morso, la terapia "popolare", fatta di danza, musica e colore, infine la "guarigione". Ma ritorniamo un attimo al tradimento di Graiano: un francese, durante il banchetto, ne loda la lealtà e la fedeltà, due qualità che, secondo il codice e la letteratura cortese e cavalleresca, ogni cavaliere degno di questo nome dovrebbe possedere: ma Graiano rovescia le regole e trasforma la fedeltà alla parola data in fedeltà al tradimento e la lealtà nei confronti di tutti in lealtà verso i complici. Frutto e conseguenza del tradimento è un confronto, per mezzo di lance e spade, tra tredici cavalieri francesi e tredici cavalieri italiani, questi ultimi guidati dal fiero e coraggioso Fieramosca: lo scontro assume le sembianze di una vera e propria aristia, cioè di un combattimento ad armi pari tra gruppi di uguale numero di avversari; ma, durante il combattimento, Ettore Fieramosca e Charles de la Motte si sfidano e si affrontano in una “singolar tenzone”, che ha tutti i connotati tipici di un duello medievale. È il 13 febbraio 1503: spira da austro un vento fortissimo, sollevante nuvole di polvere, che ricopre il viso stanco degli italiani vincitori; la città di Barletta è in festa… «Li fuochi per le strade, li lumi per ciascuna finestra, le musiche di variati suoni e canti, che per quella fur esercitati, non si potrian per humana lingua narrare a compimento…», descrive l’Anonimo Autore di Veduta, spettatore e cronista dell’epoca. Quello scontro è ricordato, ancora oggi, come la Disfida di Barletta.
Breve nota bibliografica
G. P.
Brunetta, Dizionario dei registi del cinema mondiale,
I (A – F), Einaudi, Torino 2005. WEBBOGRAFIA
http://www.grifasi-sicilia.com/curiosita_it.html
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©2008 Anna Maria Colonna