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testo di Anna Maria Colonna |
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La cena delle beffe
di Alessandro Blasetti, 1941
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«Quant’è bella giovinezza/che si fugge tuttavia! / Chi vuol esser lieto, sia: / di doman non c’è certezza» (Lorenzo de' Medici, Trionfo di Bacco e Arianna). Firenze, seconda metà del XV secolo. Mentre Lorenzo il Magnifico esorta a godere delle gioie della giovinezza prima che essa fugga per sempre, nella dimora di Messer Tornaquinci (Memo Benassi), Neri Chiaramontesi (Amedeo Nazzari) e Giannetto Malespini (Osvaldo Valenti, per il quale questo è il primo film da protagonista) si contendono le grazie ed i favori di Ginevra (Clara Calamai), donna dalla sublime bellezza, ma dalla vuota e volubile personalità. La cena delle beffe, opera drammatica scritta nel 1909 dal toscano Sem Benelli (che, a sua volta, si era ispirato ad una novella delle Cene di Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca, e che aveva cercato di seguire, tramite un linguaggio lussureggiante, l’orma linguistico-stilistica tracciata da Gabriele D’Annunzio, la cui influenza è molto sentita nei primi anni del ‘900) era già stata messa in scena, nel dicembre del 1924, da Umberto Giordano; Alessandro Blasetti, nel 1941, la ripropone in una versione cinematografica fedele e ricca di colpi di scena: un melodramma torbido e ambiguo per l’epoca, che il regista dichiara di aver realizzato senza alcun interesse. Famoso soprattutto per il niveo seno di Clara Calamai, ritenuto il primo ad apparire nudo ed in primo piano sullo schermo della cinematografia italiana (in realtà esso fu preceduto da quello di Vittoria Carpi, nello stesso anno, in una pellicola dello stesso regista, La corona di ferro, anche se il suo seno non si mostra, qui, in primo piano), il film di Blasetti contiene molti altri particolari, forse meno espliciti e clamorosi, ma degni, comunque, di essere menzionati; anche perché la questione del seno, suscitando numerose polemiche («Il mio fu il primo seno ripreso all’impiedi, apparve eretto, come di natura, orgoglioso, senza trucchi… Invece la Calamai si fece riprendere sdraiata, che non è una differenza da poco», avrebbe affermato, l’anno dopo, l’attrice Doris Duranti), ha fatto sì che altri aspetti del film fossero completamente trascurati.
Prima di tutto i nomi dei personaggi: Lisabetta, Ginevra, Lapo, Fiammetta, Giannetto, Cinzia… non somigliano, essi, forse, agli appellativi che Boccaccio ha dato ai protagonisti del Decameron? La stessa triste sorte di Fiammetta (Luisa Ferida), amata ed, in seguito, abbandonata da Neri Chiaramontesi, richiama l’amore infelice di Fiammetta, narrato nell’Elegia di Madonna Fiammetta dello scrittore medievale. E chi non conosce la storia di Lancillotto e Ginevra (fanciulla di straordinaria bellezza e dalla carnagione chiarissima), narrata, nel XII secolo, da Chrétien de Troyes? «Sei più pallida della luna», dice Giannetto a Ginevra, esaltando, in questo modo, la bellezza della donna amata; ed ancora, le dita dei piedi dell’incantevole cortigiana vengono definite d’avorio a causa del loro naturale candore. Sfarzosi e degni di una dama rinascimentale gli abiti indossati dalla Calamai (ed i costumi del film furono messi in mostra nel giugno – settembre 2002 nel Museo di Roma in Trastevere, in occasione del centenario della nascita del regista) , il cui corpo, in una scena del film, appare velato da un sottile tessuto, ed elaborate le sue acconciature, con trecce che raccolgono i capelli e veli che fanno quasi da copricapo. «…A casa le donne!» grida, con prepotenza, Neri Chiaramontesi a Ginevra (ricordando, indirettamente, la concezione che, nel Medioevo, si aveva della donna), mentre è impegnato ad indossare l’armatura di Lorenzo il Magnifico, presente nella residenza di Messer Tornaquinci. Durante il banchetto imbandito per istituire la pace fra il Malespini ed i Chiaramontesi, Neri pronuncia una frase divenuta, poi, famosissima: «Chi non beve con me, peste lo colga!»… e come sappiamo, la malnutrizione e le pessime condizioni igieniche favoriscono, nel Medioevo, frequenti esplosioni di epidemie, proprio come quella delle peste (nel 1348). La peste invocata dal Chiaramontesi è emblema di ogni malattia e, quindi, metafora del Male.
Ma un altro tema tipicamente medievale appare nel film di Blasetti, quello della pazzia, figlia di Signora Vendetta: «Chiaramontesi è diventato pazzo e viene qua!», gridano alcuni personaggi che affollano la taberna dove il “folle” si sta recando, vestito dell’armatura del Signore di Firenze. Neri diventa una specie di giullare che tutti deridono e di cui Giannetto si prende gioco. Quest’ultimo medita vendetta poiché Neri gli ha portato via l’amata Ginevra, ordisce una trappola nei confronti del prepotente ed orgoglioso nemico, lo coinvolge in una rissa di taberna, dove riesce a farlo arrestare con l'accusa di essere invasato dalla demenza. Una vera e propria congiura viene attuata nei confronti del Chiaramontesi, una cospirazione (se così la si può definire) simile a quella che la famiglia dei Pazzi organizzò nei confronti dei fratelli Medici: Gabriello Chiaramontesi (Alfredo Varelli) muore, ucciso involontariamente dalle mani colpevoli del proprio fratello, Neri si salva e si allontana dalla stanza in cui si è consumato il delitto, mentre Giannetto, inorridito dal suo stesso comportamento, pronuncia crude parole: «Io sono inchiodato al Male». Male, peste, demonio, pazzia sono termini che costellano continuamente le scene di questo film. E la cena delle beffe assume le sembianze di un torneo cavalleresco, dove Neri e Giannetto, invece che con lance, gareggiano in odio e sarcasmo, provocandosi a vicenda. «Eccomi qua, cavaliere, risanato…», si annuncia il Malespini a Messer Tornaquinci, definito cavaliere qualche minuto prima dell’inizio della cena; cavaliere, un appellativo che richiama subito l’epoca medievale e che fa riferimento alla letteratura dei trovatori ed a quella cavalleresca. La vendetta e, quindi, la beffa di Giannetto conducono Neri alla follia, ma la vera causa di tutto sono la passione ed il desiderio provocati dalla bellezza di Ginevra: e nel film, ad un certo punto, l’amore viene definito pazzia (così come nell’Orlando Furioso di Ariosto).
Giannetto, pur sapendo di odiare, ama la sua vendetta poiché essa è frutto di un amore che lo ha reso cieco e folle; la sua pazzia, diversa da quella di Neri, è pur sempre amara e funesta, poiché deriva da una identica passione, fatale per entrambi. Il regista romano racconta tutto ciò con un efficace senso del ritmo (insistendo soprattutto sui colpi di scena, che si susseguono in modo concitato), una particolare cura per l’ambientazione (e gli eleganti interni sono più rinascimentali che medievali) ed una profonda capacità non solo di ritrarre la malvagità demoniaca di Giannetto, ma anche di rendere visibili i moti interiori e le reazioni dei personaggi agli eventi. È continuo il filo sottile che unisce alcuni dei personaggi dei film di Blasetti: Neri e re Sedemondo (personaggio de La corona di ferro, durante la produzione del quale Blasetti concepì la Cena delle beffe), per esempio, sono accomunati non solo dall’arroganza, ma anche dalla perdita di chi sta loro a cuore e dalla pazzia finale. Questo film in costume ha un appeal popolare, rientrando tra i gusti, le passioni e le letture (Sem Benelli) dell’epoca, ed è frutto di attente scelte da parte del regista.
Breve nota bibliografica e webbografica
G. P. Brunetta,
Dizionario dei registi del cinema mondiale, I (A – F),
Einaudi, Torino 2005. http://it.wikipedia.org/wiki/Lorenzo_de'_Medici http://www.ciao.it/Shakespeare_William__Opinione_477229 http://it.wikisource.org/wiki/Elogio_della_Follia/Elogio_della_Follia http://www.teatrostabile.umbria.it/spettacolo.asp?id=273 http://www.coopfirenze.it/info/art_3086.htm http://www.webalice.it/claudiusdubitatius/Nugae/Beffa/Beffa_3.htm http://www.lastoria.info/Medievale/donnaecorte2.html http://www.mondimedievali.net/medicina/altomedioevo20.htm http://www.drengo.it/sm/10/attardi.cavalieri.pdf http://www.icnovellara.it/alberi/quercia.htm http://www.parcogargano.it/?4,118
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©2008 Anna Maria Colonna