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testo di Giuseppe Barile |
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I cavalieri della Tavola Rotonda
(Knights of the Round Table)
di Richard Thorpe, 1953
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Hollywood e il Medioevo, pochi rapporti sono così stretti ed altrettanto controversi nella storia del cinema, infatti l’età di mezzo è senza dubbio un crogiolo a cui le fucine del grande schermo hanno spesso attinto, talvolta forgiando capolavori, talvolta partorendo pellicole dal dubbio valore; uno dei temi preferiti da registi e sceneggiatori dei grandi studios è senza dubbio il ciclo arturiano, la più nota, se non necessariamente la più avvincente, delle vicende tramandateci dalla letteratura medievale. In questo rapporto controverso tra Hollywood e Camelot si inserisce a pieno titolo I cavalieri della tavola rotonda, girato nel 1953 da Richard Thorpe, che appartiene ad una vera e propria, se non ufficiale, trilogia di cappa e spada prodotta dalla MGM e caratterizzata dalla permanenza di un cast d’eccezione tra cui si annoverano anche due star del calibro di Robert Taylor ed Ava Gardner. Primo film in cinemascope dalla Metro-Goldwyn-Mayer, la pellicola di Thorpe non si fa notare per particolari innovazioni mantiene sulla storia una prospettiva ormai consolidata dalla produzione Hollywoodiana; fin dalla prime battute i personaggi rientrano nel loro stereotipo e la storia si dipana partendo dal cosiglio che porterà Artù sul trono e l’Inghilterra in guerra senza particolari colpi di scena fino a raggiungere il punto focale della pellicola nella narrazione della storia di amore e tradimento che vede protagonisti Lancillotto e Ginevra, e che poi porterà senza appello alla dissoluzione della pace nel regno, alla sconfitta di Artù per mano di Mordred e Morgana ed al duello finale tra il prode cavaliere del re e il marrano di turno; il tutto in pieno stile hollywoodiano.
Il Medioevo in cui si muovono i cavalieri in pesanti armature e le dame dalle bizzarre acconciature voluti dal regista è però assai diverso dal periodo a cui è appartenuto storicamente Artorius che si tende ad identificare con l’avvicendamento tra Romani e Sassoni nelle isole britanniche; piuttosto i personaggi, le scene, i rapporti appartengo ad un’immagine ideale nata dalla visione della fine dell’età di mezzo filtrata sia dalla produzione letteraria cortese che dalla successiva storiografia romantica ottocentesca ed ormai profondamente radicata nella concezione di medioevo che ci appartiene. Non a caso la trama è ispirata all’opera di Thomas Mallory La Morte d’Arthur, una compilazione di scritti riguardanti il ciclo arthuriano per lo più provenienti dalla produzione francese ed inglese del secolo XII, e molto spesso ricalca in modo agile e scenico schemi e modi propri del medioevo letterario creato dagli autori cortesi; il dualismo tra Artù e Lancillotto, uno re per diritto divino, l’altro figlio cadetto di un altro sovrano alla ricerca di un proprio spazio, Ginevra donna affascinante e regina “pia” ma anche in grado di influire sugli eventi attraverso la politica matrimoniale, Morgana, sorella del re e donna che inizia ad affermarsi non più come semplice subordinata, ma a ritagliarsi un proprio spazio tra i potenti vincendo alla fine il duello politico con merlino, potrebbero facilmente identificare alcuni dei caratteri più importanti di un periodo storico che ha senza dubbio lasciato il segno nella nostra cultura, il condizionale è però d’obbligo.
Il film di Thorpe è infatti strettamente legato ad una concezione largamente diffusa, nel periodo in cui è stato realizzato, di Medioevo; se lo studio della storia stava percorrendo quell’itinerario di continuo rinnovamento che avrebbe portato ad un cambiamento delle prospettive di analisi del passato, il cinema era rimasto ancora strettamente legato ad una concezione romantica dell’età di mezzo nata anche da una rivalutazione operata dagli storici ottocenteschi. Nel lavoro degli sceneggiatori traspare chiaramente questa visione del Medioevo cortese, così il rapporto re-cavaliere diviene un rapporto di amicizia piuttosto che di subordinazione, l’amore che lega Lancillotto a Ginevra, perde la sua valenza di momento di affermazione per il giovane cadetto nei confronti della potenza del signore, ma assume i connotati di un sentimento contemporaneo e idealizzato. Ne I cavalieri della tavola rotonda regista e sceneggiatore non raccontano né il Medioevo cui è appartenuto Artù personaggio storico, né il Medioevo in cui è nato è cresciuto l’Artù personaggio letterario. Dalla pellicola traspare invece una visione stereotipata ed incantata di Medioevo che, sebbene si discosti dall’idea di età buia pecca in senso opposto proiettandovi schemi e valori propri di un’epoca e di un pensiero differenti. è però vero che I cavalieri della tavola rotonda ha sicuramente ottenuto un grande successo; il fatto che sia stato candidato a due premi Oscar e al festival di Cannes sicuramente lo dimostra.
Nonostante gli scenari ricostruiti in studio creino un’atmosfera fiabesca più che realistica, non si può certo non apprezzare la colonna sonora (almeno i nostalgici l’apprezzeranno), e nemmeno si possono tralasciare i costumi che sono valsi appunto la candidatura agli Academy Awards. Un’utilità didattica del film di Thorpe però si può trovare in una visione critica della pellicola preceduta da uno studio del periodo che vorrebbe incarnare e seguita da un dibattito volto ad individuare le correnti di pensiero e le scuole storiografiche che hanno prodotto l’idea di Medioevo a cui il film si ispira. Strumento utile nel raggiungere questa coscienza critica può essere senz’altro i saggi di Jacques Solé sulla storia dell'amore in Occidente, che in poche pagine fornisce dei buoni strumenti per confrontare lo stralcio di Medioevo storico - perché di stralcio si tratta - caratterizzato dalla cultura cortese, con l’immagine che Hollywood ne ha trasposto in questa pellicola. Traendo le conclusioni, la pellicola di Thorpe, sebbene non sia un capolavoro del cinema sul periodo medievale, può, come ogni opera cinematografica ha una sua valenza in relazione a ciò che racconta, a patto di essere analizzata con un occhio critico in grado di scrutare oltre lo schermo e di cogliere il complesso iter che ha trasformato il Medioevo storico nell’immagine di Medioevo di cui tutti siamo "portatori" e, spesso, inconsapevoli diffusori.
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©2008 Giuseppe Barile