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  Prefazione  


Cinema e Medioevo

Prefazione

di Vito Attolini

  

 

  

 

Fin dalle sue origini il cinema ha tratto dal passato, dalla storia, materia per i suoi film, anche per quelli la cui durata, come accadeva ai primordi, non superava pochi minuti. Possiamo dire a tal proposito che il film storico è stato il primo fra i “generi” cinematografici. Il francese Georges Méliès, uno dei padri della settima arte, ne fu l’antesignano, visto che era solito inframmezzare fra un film e l’altro di pura fantasia (questi costituiscono infatti gran parte della sua sterminata filmografia) anche alcuni altri che oggi noi definiamo appunto come “film storici” su avvenimenti del passato: nacque così con lui un modello cinematografico che si fonda sulla rievocazione di eventi lontani nel tempo, il cui potere di suggestione sul pubblico sarebbe rimasto intatto nei decenni successivi, fino ai nostri giorni.

In linea generale possiamo intendere in due sensi il rapporto cinema-storia: da un canto il cinema (non quello di fiction, ma quello che si definisce di attualità) è documento storico, che capta un avvenimento nel flusso continuo della realtà e lo tramanda a futura memoria, sicché gli storici che studieranno il Novecento avranno un’occasione preziosa per cogliere dal vivo molti aspetti delle società odierne così come si sono manifestati effettivamente (altro, ovviamente, il problema legato alla attendibilità dei documenti che li testimoniano). Perché il cinema è “storico” anche come documento, registrazione di quell’incessante moto della realtà che costituisce appunto l’oggetto della storia nel suo farsi: una vasta messe di materiale di cui lo storico di domani potrà disporre attingendo allo sterminato archivio audiovisivo venutosi a creare col tempo a partire dalla nascita del cinema e della televisione. Modi di vita, costumi e abitudini dell’uomo del Novecento (e anche dell’ultimo Ottocento se si considera tutto il materiale impresso sulla pellicola negli ultimi anni del XIX secolo), grandi eventi epocali, personaggi illustri e no del secolo scorso tutti tramandati dall’evidenza irrefutabile dell’immagine cinematografica. Non sarà necessario, almeno in grande misura, affidarsi a congetture, interrogarsi intorno alla realtà fenomenica dei fatti evidenziati da tanto materiale documentario che si è venuto accumulando nel tempo. Tutto sarà lì, descritto sulla pellicola per soddisfare la curiosità e l’interesse non soltanto degli studiosi della storia.

Da un altro canto, e questo riguarda il film narrativo (fiction), abbiamo il cinema appartenente al “genere” storico vero e proprio, quello che rievoca vicende vere o immaginarie ambientate nel passato, rappresentate con gli strumenti della fantasia e con un insieme di riferimenti necessari a dare una precisa fisionomia storica alla narrazione.

Questo modo di “utilizzare” il cinema ha talvolta suscitato perplessità in alcuni teorici del film che ritengono essenziale al linguaggio cinematografico la sua assoluta aderenza alla realtà presente, campo privilegiato della macchina da presa e fondamento dell’autonomia espressiva del cinema rispetto ai linguaggi artistici del passato. In questa prospettiva il film storico tradirebbe la natura specifica del cinema, un medium cioè la cui caratteristica è quella di essere totalmente complice del presente, che esso fissa sulla pellicola isolandone alcuni eventi e sottraendoli all’ininterrotto flusso di quel tempo che altrimenti li cancellerebbe: il film storico di fiction, rievocando fatti del passato, inevitabilmente tradisce la realtà così come essa si manifesta hic et nunc, ricostruendola in modi fittizi che non appartengono alla nostra esperienza diretta. Ma si tratta di una posizione radicale, che non tiene conto dell’evoluzione del cinema e di alcuni autentici capolavori che appartengono proprio al genere storico.

Uno dei problemi centrali del film storico – che esso condivide però con tutte le opere di finzione appartenenti ad altri campi artistici, come il romanzo, il melodramma, i drammi teatrali – è quello che attiene per così dire alla sua rispondenza esatta al passato, alla sua precisa documentazione. Il cinema, soprattutto quello commerciale, tradisce la verità dei fatti per esigenze che spesso con l’arte hanno poco da spartire. Accade però spesso di riscontrare anche in alcuni film non banali “errori” storici, che spaziano da quelli che potremmo dire marginali a quelli per alterano nel profondo la sostanza dei fatti. A questo proposito può essere di qualche utilità ricordare il grande dibattito che si svolse nell’Ottocento fra i maggiori scrittori dei romanzi storici, che possiamo indicare come modelli narrativi anche per il cinema.

Non sembri incongruo questo accostamento quando si pensi al fatto che il film di fiction – e sull’esempio di questo anche il film storico, come si è accennato – ereditò dalla letteratura ottocentesca le forme e i modi del racconto cinematografico. Questo modello è rimasto a lungo operante almeno nel periodo di tempo nel quale si racchiude convenzionalmente il cosiddetto cinema classico (all’incirca quello che si estende fino agli anni sessanta del secolo scorso) nel corso del quale si è consolidato quel tipo di film storico che ha a lungo dominato la scena e al cui prototipo si sono riferiti appunto i registi che ne hanno realizzato alcuni esemplari. Come accade spesso di verificare, ad ogni apparire di film storico viene riproposto il problema della sua validità anche sul piano “scientifico”, particolarmente quando si tratti di opere rilevanti sul piano artistico. Discorso che verte sulla rispondenza o meno della creazione artistica alla storia così come la professano gli storici stricto sensu. È inevitabile che il confine fra i due territori riveli tutto il carattere problematico del rapporto fra verità scientifica e verità artistica. Rapporto che non andrebbe mai considerato in termini di opposizione, dove la storia rivendichi un’autonomia assoluta, col risultato di sconfessare alla radice ogni film che si discosti dalla verità per finalità varie e che noi dobbiamo necessariamente riferire all’intenzionalità artistica dell’autore.

Il fatto è che il ripensamento del passato attraverso il linguaggio dell’immaginazione si sviluppa nel processo messo in moto dalla fantasia, che assorbe in sé la verità storica ma la rielabora secondo finalità sue proprie che, fino a un certo punto, possono non coincidere con quelle riscontrabili da una rigorosa verifica documentale. Di qui le “smagliature” rispetto alla storia che osserviamo spesso in alcuni film appartenenti a questo genere, anche in quelli maggiori (non conta in tale sede, considerare alcuni grossolane sviste dettate da esigenze bassamente spettacolari). Sarà compito dell’attenzione dello spettatore individuare le ragioni che determinano tale discrasia, dettate dall’ovvia constatazione che ogni film storico (e ogni romanzo storico, etc,) ci dice molto più del presente in cui esso viene realizzato che del passato (campo, quest’ultimo, della storia come scienza): perché “per suscitare una qualche partecipazione l’argomento che si è scelto deve essere necessariamente tradotto nei costumi e nel linguaggio del tempo in cui viviamo”, secondo quanto affermò il filosofo ungherese Gyorgy Lukàcs, autore di un libro importante sul romanzo storico. In questa luce diventano “necessari” alcuni anacronismi, perché essi sono un mezzo insostituibile per dare ai “personaggi un’espressione di sentimenti e di riflessioni su nessi storici e reali più chiara ed evidente di quella che gli uomini dell’epoca considerata potessero avere avuto”.

Queste preziose indicazioni possono essere utili ad inquadrare esattamente il problema del film storico, ridimensionando le pur legittime pretese di una (impossibile) coincidenza fra invenzione artistica e documentazione storica. È bene ricordare perciò che la fiction storica è qualcosa di diverso dal lavoro dello storico: questo si fonda sulla scrupolosa indagine dei documenti, quella deve adattare i risultati di tale indagine alle esigenze della fantasia, dell’immaginario artistico, che possono determinare talvolta “modifiche” o alterazioni che non di rado rasentano l’errore o generano veri e propri falsi (salvo nei casi in cui questi siano premeditati, come accade quando si confondono a fini parodistici passato e presente). Una corretta analisi di un film ci aiuta perciò a capire quando si tratti di “anacronismi necessari” e quando di “errori” che compromettono la stessa fiction, trasformandosi in un ostacolo alla comprensione stessa del passato. Diremo a margine di tale discorso che esempi di “errori”, anche vistosi, è dato riscontrare pure in opere letterarie o drammatiche di ogni tempo, senza che essi ne abbiano compromesso la validità estetica e la stima del lettore o dello spettatore. 

Come s’è detto, il cinema storico nasce col cinema stesso. Ma se questo è vero, occorre vedere come tale genere si sia sviluppato, quali caratteristiche abbia presentato nelle varie fasi della sua evoluzione. Fino agli anni Sessanta circa si può dire che l’attenzione dei registi si sia rivolta principalmente ai grandi eventi storici e ai grandi suoi protagonisti: Giulio Cesare, Cleopatra, Riccardo Cuor di Leone, Giovanna d’Arco, Napoleone e così via, protagonisti di tanti film. Rara la presenza di personaggi appartenenti alle fasce subalterne della società. Ma a partire dal tramonto del cinema classico tale punto di vista ha subìto un cambio di direzione: al centro del film storico sempre più sono venuti in evidenza i “piccoli” eventi, quelli che i libri di storia non segnalano, ma che sono a loro modo altrettanto significativi dei più grandi avvenimenti. Ai personaggi che hanno “fatto” la storia si sostituisce sempre più la folla di quelli che hanno “lavorato” nell’ombra, che ne sono stati “pazienti”: all’epocale, cioè, si sostituisce l’umile, il quotidiano. Ciò si deve probabilmente all’influenza che ha avuto, anche nel campo artistico, l’insegnamento di quegli studi storici sempre più attenti a ciò che si suole definire “microstoria”. Nel romanzo, nel cinema sono venuti alla ribalta sempre più i personaggi minori sullo sfondo appunto della storia. Sotto questo aspetto basta ripercorrere alcuni grandi titoli del cinema degli ultimi decenni per riscontrare una consistente quantità di film che rievocano il passato in questa chiave, per così dire, minimalista. È nella ricostruzione della storia più recente, come l’ultimo conflitto e il dopoguerra, rappresentati spesso nella chiave della quotidianità, che gli esempi si moltiplicano ancor più.

A questo punto è legittimo chiedersi la ragione per cui il cinema, in determinate fasi della sua evoluzione, abbia rivolto la sua attenzione ad alcuni periodi storici a preferenza di altri. La risposta è nell’angolo visuale inevitabilmente contemporaneo da cui il passato viene esaminato: noi guardiamo a questo tenendo conto della nostra sensibilità e delle esigenze che guidano i nostri interessi verso la storia. Ci si specchia nel passato non tanto perché a questo noi chiediamo insegnamenti per il presente, quanto perché in esso riscontriamo convergenze, affinità con il nostro tempo, con la contemporaneità. E questo vale tanto più nel cinema, arte per eccellenza della “contemporaneità” A ciò si aggiunga il fatto spesso determinante che le istituzioni – politiche, culturali – “utilizzano” i film a fini prevalentemente propagandistici: basti ricordare a tal proposito il cinema delle dittature, campo aperto spesso alle più grossolane mistificazioni.

Partendo da questo presupposto potremmo riassumere a grandi linee la filmografia di carattere storico così come si è manifestata nel corso dei decenni passati, facendo riferimento alle diverse epoche secondo la tradizionale partizione scolastica: storia antica, medioevo, età moderna, età contemporanea. Nell’ambito di ciascuna di esse, talvolta di durata millenaria, si possono individuare determinati periodi che sono stati particolarmente privilegiati dall’attenzione dei registi.

Il mondo greco antico o romano antico, ad esempio, è uno dei più frequentati, e ad esso è rivolta oggi una rinnovata attenzione con film come Il gladiatore di Ridley Scott (2000) o Alexander di Oliver Stone (2004). Diverse le ragioni di tale interesse: nel cinema hollywoodiano prevalgono quelle puramente spettacolari, cui si è sempre dato il massimo spazio. Indubbiamente lo “spettacolo” della Grecia e di Roma antica è un’occasione troppo allettante perché il grande cinema popolare se lo lasci sfuggire, puntando anche sulla conoscenza che di essa ha l’uomo di media cultura. Il kolossal di ambiente romano comprende alcuni film che hanno avuto sempre una forte presa sul pubblico, specialmente quando vi si è rappresentato lo scontro fra il paganesimo e il cristianesimo. Nel cinema italiano invece – praticamente l’unico in Europa ad occuparsi di tale epoca – questa componente si è mescolata con esigenze diverse, che vanno dalla rivendicazione nazionalista di un’identità culturale, come nel cinema muto degli anni Dieci e Venti, alla celebrazione del mito imperialista, come accadde durante il ventennio fascista con Scipione l’Africano di Carmine Gallone (1936).

La filmografia sul Medioevo ha una più articolata fisionomia, specialmente se si pensa al fatto che esso è presente senza soluzione di continuità in ogni fase di sviluppo del cinema. Infatti il Medioevo è uno dei periodi storici più suggestivi e questo spiega l’attrazione che esso ha sempre esercitato sul pubblico di tutti i tempi anche quando esso ha determinato molti equivoci, in parte alimentati anche dal cinema stesso, che ha preferito alla rappresentazione di quell’epoca nella sua complessità storica, quello cioè che ha dato l’avvio a tanti fenomeni anticipatori del mondo moderno, quella del Medioevo eroico e cavalleresco, barbarico e oscuro, secondo la tradizione romantica che nell’Ottocento ispirò i vari movimenti revivalistici espressi significativamente dal romanzo “gotico” e le cui estreme propaggini troviamo oggi appunto in molto cinema “medievale”.

Anche qui, secondo quanto prima s’è accennato, accanto a Robin Hood o ai Cavalieri della Tavola Rotonda, preferiti dal cinema americano, ci sono le moltitudini plebee che il cinema italiano ci ha rappresentato con i film di Roberto Rossellini (Francesco giullare di Dio, 1950), di Mario Monicelli con l’epopea eroicomica di Brancaleone (L’armata Brancaleone, 1966, e Brancaleone alle Crociate, 1970), di Pier Paolo Pasolini (Decameron, 1971) nei quali ha il massimo rilievo un realismo minuto e plebeo, inconsueto in tale tradizione cinematografica. Accenneremo pure, sebbene il discorso sia qui più complesso, a quel Medioevo metaforico che si riscontra in alcuni aspetti del cinema di fantascienza: quelli in cui cioè è prospettato un futuro “catastrofico”, omologo a quel Medioevo inquieto, carico di minacce quale si esprime nell’idea di una fine imminente dei tempi esemplificata da ciò che fino a qualche anno fa si definiva la paura dell’anno Mille.  

L’età moderna è quella che trova nel cinema la maggiore varietà di rappresentazione, tenuto conto della sua più diversificata fisionomia: a partire dal Rinascimento italiano – moltissimi film italiani appartenenti al muto e al sonoro, anche se pochi fra questi si impongono per particolari valori artistici e conoscitivi – per arrivare al Seicento, al Settecento (con alcuni capolavori come Barry Lyndon di Stanley Kubrick, 1975), fino alla Rivoluzione francese, ovviamente molto rappresentata dal cinema d’oltralpe (ad esempio con La Marsigliese di Jean Renoir, 1937).

Altrettanto vasto è il campo del Novecento, epoca del cinema per eccellenza, spesso delineato in un’ottica decisamente storica nonostante la limitata distanza temporale che ha separato alcuni suoi eventi decisivi dalla loro rappresentazione cinematografica. L’ultima guerra, ad esempio, è stata ed è tuttora al centro di numerosi film che hanno tentato, spesso da diversi punti di vista, di chiarire il senso di alcuni avvenimenti che sono stati fra i più decisivi del mondo contemporaneo: la nascita della dittatura sovietica nel grande cinema russo di Sergej M. Ejzenštejn e Vsevolod I. Pudovkin, il cinema di propaganda nazista nella Germania degli anni Trenta-Quaranta, la lotta contro il fascismo nei film italiani sulla Resistenza.

Vsevolod I. Pudovkin (a sinistra) e Sergej M. Ejzenštejn

Per concludere, diremo che nel confronto con i grandi temi del passato il cinema ha rivelato spesso con successo la sua funzione culturale, la sua presenza non di rado insostituibile nel mondo contemporaneo. Questa considerazione deve fornirci alcuni importanti strumenti per una corretta analisi dei tanti film storici costituenti una buona parte della produzione cinematografica e che nei casi migliori si sono rivelati attenti nel far convergere le esigenze di una precisa ricostruzione del passato – imprescindibile in quegli aspetti fondamentali che lo definiscono esattamente – con quelle della fiction, inevitabilmente influenzata dalla sensibilità e dal gusto che il cinema condivide con lo spettatore dei nostri giorni. Ciò va tenuto presente nel rapporto critico-conoscitivo da istituire col cinema storico, che è di per sé problematico: la sua comprensione, al di là di una scolastica osservanza di quelle “regole” che soprattutto in questo tipo di cinema pretendono di esercitare i loro diritti di esclusiva, rimanda ad un insieme di fattori che abbiamo cercato sommariamente di indicare.

A questo punto dovremo chiederci se o in quale senso si possa insegnare la storia con il cinema. Il compito che si propone questo libro in cui sono raccolte alcune schede relative ai film che sono ambientati nel Medioevo, intende dare una risposta a questo interrogativo, nel proposito di stabilire in quale misura o attraverso quali strumenti didattici ciò sia possibile. Problema destinato a provocare alcuni equivoci qualora non si tengano distinti i campi di competenza della disciplina storica da un canto e dall’altro di quel territorio oltremodo ricco e cangiante dei testi – siano questi cinematografici o letterari o altro ancora – che alla storia si ispirano, ma con altri obiettivi, altre ambizioni. Obiettivi definibili soprattutto sulla base dei confini che delimitano ciascuno di tali ambiti, delle diverse assunzioni di responsabilità che essi comportano.

Per il cinema la questione si pone con particolare rilevanza perché la sua diffusione si è sempre rivelata un formidabile veicolo di idee, pregiudizi, verità, falsificazioni e altro ancora quando i registi abbiano tratto ispirazione per i loro film proprio dalla storia, sfruttando il ricchissimo archivio costituito da argomenti, episodi, temi che la plurimillenaria evoluzione storica della società fornisce. Non è senza ragione il fatto che il più antico e longevo dei generi cinematografici, come s’è detto, sia proprio il film storico. Perché il cinema ci parla della storia anche, e soprattutto diremmo, quando la “reinventa” attraverso quello strumento di conoscenza che è la fiction, intendendo con questa parola tutta la vasta gamma di declinazioni del “narrabile” attraverso la fantasia, la creatività, l’immaginazione il cui referente sia appunto la storia. Potremmo giungere così, mediante un’attenta osservazione dei modi narrativi e inventivi messi in atto per realizzare un film ispirato al passato, alla sorprendente e non paradossale constatazione che la finzione (la fiction) può essere più “vera” della realtà.

   

     

       

   

©2008 Vito Attolini

    

 


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