Il castello delle ombre a cura di Vito Attolini |
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Le recensioni di Vito Attolini |
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Mongol
Interpreti: Tadanobu Asano, Honglei Sun, Khulan Chulun, Odynam Oodrusuren, Aliya – RUSSIA, 2008 (coproduzione con Mongolia, Kazakhistan e Germania), regia di Sergei Bodrov
La storia dell’infanzia e della prima giovinezza di Gengis Khan descritte da questo film del regista russo Sergei Bodrov (autore del pregevole Il prigioniero del Caucaso) fanno parte del più ampio progetto cinematografico che racconterà l’intera vita del grande principe tartaro, il cui impero si estese dalla Mongolia alla Russia fino a lambire l’Occidente, per sfaldarsi del tutto poco dopo la sua morte avvenuta nel 1227. Il punto di vista scelto dal regista per tracciare la prima parte della vita di questo personaggio non comprende perciò le guerre e le conquiste che ne fecero un protagonista della storia del suo tempo. Infatti, nel film non viene mai chiamato con il nome che gli fu attribuito in seguito, Gengis Khan appunto (che significa il condottiero forte), bensì col suo nome vero, Temugin. Ne seguiamo le vicende fin da quando, appena novenne, secondo le consuetudini della sua gente, è accompagnato dal padre Esugei per scegliere fra le bambine della tribù dei Merkit quella che sarebbe stata dopo alcuni anni la sua moglie, Borte. E in tale circostanza il piccolo Temugin rivela una determinazione perfino sorprendente in un bambino della sua età. Meraviglia perciò riscontrare in quello che in futuro sarebbe stato conosciuto per la ferocia ed efferatezza con cui affermò il suo vasto potere, tratti di una gentilezza d’animo che il succedersi degli eventi narrati dal film confermerà. Un ritratto controcorrente, quindi, la cui fondatezza, pur facendo la tara di quanto scritto dai cronisti dell’epoca a proposito della sua crudeltà, è compito degli storici di professione confermare o meno (a tal riguardo si rimanda alla biografia di Vito Bianchi recentemente edita da Laterza). Mongol ce lo descrive nei tratti che lo avvicinano quasi all’immagine del cavaliere medievale tramandataci dalla letteratura cortese: per la lealtà di cui dà prova e soprattutto per la fedeltà alla donna che per un susseguirsi di vicende resterà a lungo lontana da lui, prigioniera del capo di un altro clan, dal cui legame sarebbe nato un figlio che, con un gesto di grande magnanimità, Temugin adotterà come suo. Mongol è un film che, attraverso un racconto di movimentate avventure, di scontri armati, di tenaci odî tribali, vuole restituirci il senso di un mondo in cui la violenza regnava sovrana, talvolta mescolandosi ad imprevedibili slanci di umanità e tenerezza, come quelli, appunto, di cui dà prova Temugin. Il fatto che, come s’è detto, esso si arresti sulla soglia delle future, travolgenti imprese militari di Gengis Khan (su cui si sbizzarrirono a suo tempo tanti nostri peplum) allontana Mongol dal modello del vero e proprio film storico, e lo caratterizza nelle sue qualità di un kolossal raffinato, come ormai sanno fare soltanto i registi dell’est. È questo il merito principale di un film che si lascia ammirare per i suggestivi e sconfinati paesaggi naturali che, con il loro carattere selvaggio e maestoso ne costituiscono lo sfondo appropriato. Nei ruoli principali ottimamente interpretati compaiono il giapponese Asano Tadanobu (Temugin) e la bellissima attrice mongola Khulan Chuluun (Borte).
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©2008 Vito Attolini; recensione pubblicata in "La Gazzetta del Mezzogiorno"