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                                      Il castello delle ombre      a cura di Vito Attolini

Le recensioni di Vito Attolini

King Arthur

Interpreti: Clive Owen, Keira Knightley, Ioan Gufford, Ray Winstone, Mads Mikkelsen, Joel Edgerton, Ivano Marescotti, Stellan Skarsgaard – GB, 2004

   

Più che la famosa storia dei Cavalieri della Tavola Rotonda, King Arthur è l’antefatto di quella che sarebbe divenuta la loro leggenda: insomma un prequel, che oggi va tanto di moda. Perciò niente sguardi furtivi lanciati, «come amor lo strinse», da Lancillotto alla “sua” Ginevra, moglie legittima di re Artù, non più sussiegosi consessi intorno alla Tavola Rotonda, non più colorati tornei per singolari tenzoni o accurate descrizioni della elegante vita di corte. Qui invece Ginevra (Keira Knightley) non è un’aristocratica dama, oggetto di desideri senza speranza, ma una coraggiosa guerriera che combatte al pari dei rudi soldati, futuri cavalieri della Tavola Rotonda, contro il nemico sassone: anzi supera i suoi commilitoni, debitamente imbacuccati, nello sfidare le intemperie della gelida Britannia, e sotto i fiocchi di neve che imbiancano i campi, arco e frecce alla mano, non dismette mai la tunica dall’ampia scollatura, come una Diana cacciatrice. E i soldati di Artù (Clive Owen) sono coraggiosi combattenti non ancora dirozzati dai costumi di una vita piuttosto promiscua (Bors, il più anziano – Ray Winstone - ha fecondato un bel numero di fanciulle con conseguente, incalcolabile prole). Ma tutti sono ineccepibili sul piano militare, leali almeno quanto inesorabili col nemico.

L’americano Antoine Fouqua – o meglio la produzione che ha voluto ribaltare l’ormai logora tradizione cinematografica su Re Artù – risale ai fatti antecedenti al mito e narra in questo King Arthur (dove Artù, di origine sarmatica, si chiama ancora, latinamente, Artosius), un episodio che lo ha come protagonista, insieme coi suoi fedeli, di una missione agli ordini degli amici-nemici della lontana Roma (siamo intorno agli anni della caduta dell’Impero romano, sul finire del quinto secolo). Si tratta di raggiungere una postazione al nord della Britannia, occupata da un distaccamento romano sotto la minaccia di un assalto imminente dei Sassoni e scortarlo sulla via del ritorno, mettendolo al sicuro. Il cammino è disseminato di pericoli e trappole, l’odiato sassone li incalza rendendo malsicuro il cammino, e i romani scortati, oltre ad essere poco riconoscenti, rivelano il volto feroce del conquistatore delle lontane terre del nord. Ma la missione andrà a buon fine, dopo di che i cavalieri si appresteranno alle future glorie cantante nel ciclo dei romanzi bretoni. Più che all’alba del medioevo perciò, siamo al tracollo dell’antica Roma, che evidentemente è più familiare allo sceneggiatore David Franzoni, già autore della sceneggiatura del Gladiatore di Scott.

La trama richiama prepotentemente uno dei luoghi narrativi canonici del western, laddove al gruppo dei guerrieri di Artù si sostituiscano i soldati del Settimo cavalleggeri e alla lontana postazione romana assediata dal nemico si ponga un forte isolato, minacciato dagli indiani. Nulla di scandaloso, però, perché evidentemente sul piano dello spettacolo la formula funziona: lotte corpo a corpo con l’odioso sassone, insidiosi agguati, cielo oscurato da un nugolo di frecce e, dulcis in fundo, un pallido omaggio ad Ejzentejn e al suo Alessandro Nevskij nella scena della battaglia sul lago ghiacciato che inghiotte, una volta incrinata la superficie, molti soldati sassoni e che, circa otto secoli prima, anticipa l’analoga battaglia sul lago Peipus fra russi e Cavalieri Teutonici.

Spettacolare e movimentato, King Arthur non si discosta dal modello del film avventuroso e “storico”, ma si allontana dalle suggestioni e dalle tradizioni medievaleggianti semplicemente ignorandole e raggiunge il suo obiettivo, limitato ma indubbiamente efficace sul piano dello spettacolo, felicemente concluso con le nozze in stile dimesso e poveristico fra Artù e Ginevra e con qualche sguardo appena languido del fedele Lancillotto (Ioan Gruffud) alla donna che segretamente ama e dalla quale forse è segretamente amato.  

   

LA SCHEDA DEL FILM

L'«altra» recensione: di Giuseppe Losapio

  

   

©2004 Vito Attolini; recensione pubblicata in "La Gazzetta del Mezzogiorno"

    


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