Il castello delle ombre a cura di Vito Attolini |
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Le recensioni di Vito Attolini |
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Interpreti: Raoul
Bova, Edward Furlong, Marco Leonardi, Carlo Delle Piane, Edmund Purdom
– Italia, 2001
L'impresa del titolo è il recupero della Sacra Sindone, custodita illegittimamente dal duca de la Roche nel suo castello in Grecia. Siamo nella seconda metà del XIII secolo, all'epoca dell'ultima crociata, quella cui partecipò ancora una volta Luigi IX, detto il Santo. Pupi Avati aveva rappresentato l'alto Medioevo in Magnificat (ambientato tre secoli prima di quest'ultima sua rivisitazione. Ma se questo era un film "poverista", omologo agli episodi che lo formavano, I cavalieri che fecero l'impresa è un kolossal che spazia per ambienti e luoghi diversi, passando da miseri conventi di campagna, che sembrano quasi dei ruderi, a ricche residenze nobiliari, da oscure cripte ad ariosi paesaggi. Il Medioevo che ne vien fuori è piuttosto insolito, rigoroso nella ricostruzione storica (vi ha partecipato da consulente un medievista della statura di Franco Cardini) e forse perciò privo di quelle caratteristiche che siamo soliti attribuire a questa età e che molto cinema ha contribuito a perpetuare. Un Medioevo, cioè, quotidiano ma non dimesso, a suo modo eroico ma senza enfasi, aperto ad ogni curiosità mondana sebbene ancora legato alla sua dimensione religiosa. Un mondo che il film di Avati rivela nella sua nuda essenza, in una realtà in cui anche un autentico impulso religioso si mescola inestricabilmente al fascino dell'esperienza: ipotesi attendibile anche perché l'ottava crociata che vi fa da sfondo aveva presumibilmente spento le residue illusioni in chi, ciononostante, vi partecipava ancora con minore ardore di quello che aveva animato la prima di circa trecento anni addietro.
Cinque giovani - uno dei quali, posseduto dal demonio, sarà poi esorcizzato - si incontrano casualmente e fanno lega comune. Fra di loro c'è chi è stato incaricato di recapitare a Luigi IX, di cui ignora la morte, una lettera contenente indicazioni sul luogo dove si trova la Sindone, che i cinque cavalieri decidono poi di riprendere per conto proprio per riportarla in Francia. Ci riusciranno, ma a prezzo della loro vita, perché in un ultimo, disperato scontro soccomberanno alle forze soverchianti degli avversari. L'itinerario dei cinque è estremamente accidentato e le numerose disavventure cui essi vanno incontro per terra e mare offrono l'occasione ad Avati di rievocare il Medioevo in molte delle sue consuetudini, non di rado intrise di violenza, pregiudizi, pericoli: ma pur sempre rischiarato da quel senso dell'avventura che non è soltanto il vitalismo giovanile suggerito dai cinque protagonisti quanto apertura al nuovo, desiderio di vivere insolite esperienze sul vasto palcoscenico del mondo. Una immagine della vita in cui più che la fede, l'intenso spiritualismo religioso, che pure fu gran parte della dimensione culturale di quell'età, conta un individualismo che si emancipa pian piano dalle costrizioni del passato e induce l'uomo a farsi protagonista della propria vita: prospettiva adombrata nella decisione dei cinque cavalieri di continuare da soli nell'impresa della conquista della Sindone. Merito del film è nell'equilibrio fra rilettura di un'età storica e adesione alle esigenze di un cinema spettacolare, con tutte le sue regole, insolito nella nostra cinematografia. Compito che Avati mostra di saper assolvere puntando sulle sue corde più genuine e assecondato da tutti gli attori dai nostri Raoul Bova e Marco Leonardi all'americano Edward Furlong al tedesco Thomas Kretschmann al cèco Stanislas Mehrar.
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L'«altra» recensione: di Stefano Latorre - di Gaetano Pellecchia - di Teresa M. Rauzino
©2003 Vito Attolini; recensione pubblicata in "La Gazzetta del Mezzogiorno"