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Il castello delle ombre a cura di Vito Attolini |
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John Ronald Reuel Tolkien
Il successo mondiale del film Il Signore degli anelli, di Peter Jackson, pone alcuni interrogativi sul perché, in un mondo secolarizzato, che si richiama soprattutto ai valori materiali e a concezioni razionaliste, milioni di persone siano corse nelle sale cinematografiche per assistere alla proiezione del primo film di una trilogia ripresa dalla fortunata opera di Tolkien che, ormai da cinquant’anni, viene continuamente ristampata in tutto il mondo. Non è ozioso domandarselo, in un momento in cui la cinematografia, specie Usa, offre film sempre più minimalisti oppure che rimandano a concezioni lontanissime dalla tradizione, dal mito, da tutto ciò che rimanda a una visione del mondo superiore. E così, anche la critica letteraria oltre che cinematografica è stata costretta ad accorgersi di questo scrittore inglese (ma nato nel Sudafrica), Tolkien appunto, sul quale, negli ultimi trent’anni, era scattata un’azione di oscurantismo e di "congiura del silenzio". Fatto strano, visto che, in Italia, l’opera di John Ronald Reuel Tolkien ha ormai un rilievo notevole sia per vendite (un milione e duecentomila volumi del docente di Oxford venduti negli ultimi 30 anni) sia per interesse di pubblico. Il caso cinematografico dell’anno, Il signore degli anelli
- La Compagnia dell’anello,
ha fatto sì che venisse scardinata la chiusura e la censura dei critici che hanno
attaccato il mondo tolkieniano perché portatore di una visione del mondo a suo
modo religiosa, magica, che si collega con quella
che lo scrittore inglese chiamava "fantasia creatrice". Una fantasia che non ha a che fare con la pura invenzione, ma che ha
tradotto miti, cosmogonie che rimandano alla mitologia nordica. Insomma, è la
riproposizione di un altro mondo parallelo al nostro, ma su un piano
aristocratico, permeato da una visione del mondo tradizionale. Tolkien si avvaleva efficacemente della sua
formazione di filologo e di docente di anglosassone all’Università di Oxford,
per sostanziare anche sul piano storico, mitico e letterario di richiami reali.
La sua visione del mondo di cattolico tradizionalista e quella politica di
conservatore, facevano il resto nell’orientare questo mondo mitico. Insomma,
le sue opere sulla Terra di Mezzo erano la ricomposizione di un mondo
fantastico, certamente, ma che si riferiva costantemente alla Tradizione del
Medioevo, perché, come detto, era il settore di studi dell’autore, e perché
considerato terreno mitico per l’attualizzazione delle saghe nordiche. Secondo gli specialisti di
Tolkien, la sua
opera ha una doppia lettura: iniziatica, con i riferimenti alla lotta fra il
bene e il male, la Cerca, il Graal; e un’altra di critica (per
contrapposizione) fra il mondo tradizionale e quello moderno. Mordor, che nel
romanzo (o saga?) del docente di Oxford è la terra del male, è in realtà una
rappresentazione della modernità, come sarebbe potuto essere qualche decennio
fa il dispotismo dell’Est e l’attuale industrializzazione forsennata
dell’Ovest. Quindi, l’opera contiene un messaggio di speranza, che fa capire
come oltre la globalizzazione, e prima, ci sia stato e ci sia ben altro. La trama del Signore degli anelli, i cui personaggi sono hobbit, elfi, nani e uomini, è la storia dell’oscuro e malvagio Sauron, abitante della terra di Mordor, che cerca di riacquistare la potenza perduta recuperando gli anelli della Forza che lui stesso aveva forgiato. Ma l’hobbit Frodo Baggins entra casualmente in possesso dell’anello Unico, il più potente e, quindi, il più importante, ed è incaricato di distruggerlo nel fuoco del Monte Fato, dove era stato realizzato. La Compagnia dell’anello, quindi, deve superare montagne, foreste, contrade, fiumi, per portare a termine questa missione, che potrebbe già definirsi prova iniziatica. In questo percorso non mancano lotte, battaglie ed anche avvenimenti magici e di stregoneria. Ma quali sono i valori alla base della visione del mondo della saga de Il Signore degli anelli e di tutta l’opera di John R. R. Tolkien? Innanzitutto, tutta l’opera è pervasa da una dimensione sacra, in un’era senza tempo ma sicuramente precristiana, dove tutti sembrano ispirati da una visione del mondo cristiana sebbene esistano sullo stesso piano con gli dèi. Vivono secondo idee della Tradizione, con compiti da affrontare senza alcuna ricompensa, compiono una Cerca, che non è del Graal, ma di un monte dove distruggere un anello e alla fine saranno trasformati da questa esperienza. Solo Frodo dovrà rimettersi in viaggio verso un nuovo luogo spirituale. Insomma, l’iter iniziatico, per lui, prosegue. Sauron, che rappresenta la modernità (come peraltro espressamente spiega lo stesso Tolkien nelle sue lettere) è il male, il nemico della Compagnia dell’anello. Ma in realtà, Tolkien non aveva scritto letteratura d’evasione, ma
una nuova mitologia per l’Europa non solo perché, nell’epoca in
cui viveva, considerava le due guerre mondiali vere e proprie guerre civili
europee, ma anche perché le radici dei suoi romanzi (a partire da Lo Hobbit)
traevano grande linfa proprio dal Beowulf, dalla Voluspa,
dal Kalevala, insomma, dalle saghe nordiche e germaniche. In
un’intervista alla Bbc, del resto, sottolineò l’importanza della lingua
gaelica ma soprattutto delle saghe finlandesi. E data la grande competenza del
filologo di Oxford in queste materie, la sua padronanza di storie e saghe, miti
e simboli, è notevole anche nel tessuto narrativo. Si trattava del punto di partenza, quello
simbolico e mitologico, perché come hanno dimostrato i maggiori storici delle
religioni e della mitologia europea (Eliade e Dumézil, Ries e Haudry ed altri)
esiste un sostrato unico a tutti i popoli europei. Da qui la narrazione mitica,
basata su una visione tradizionale, fatta di cicli, ha un
percorso costituito da prove da affrontare e superare. E rifacendosi a
questo corpus di racconti ma soprattutto di valori, Tolkien narra tutta
un’epica, quella della Terra di mezzo, che si conclude (almeno nella
narrazione de Il Signore degli anelli) con la partenza degli elfi, alla
fine della terza era e inizio della quarta, che coinciderebbe con la nostra
epoca. Non a caso, nei cicli della tradizione indiana il kali yuga, la
quarta era, quella della decadenza, è proprio quella nella quale noi viviamo. Tra l’altro una lezione potrebbe anche
trarsi da questa opera: un invito ad agire nel mondo moderno da un punto di
vista esoterico ed essoterico, per tornare a far vivere i principii della
Tradizione. Non a caso al mito segue anche il simbolo e l’opera di John R. R. Tolkien è intessuta di questi segni. Ad esempio, la Cerca cui si è fatto cenno, come percorso di iniziazione che rimanda al Graal. Poi, l’Albero secco che richiama l’albero cosmico (che simboleggia l’unità di tutto ciò che esiste, il tronco e la molteplicità delle forme che traggono origine dall’Uno, proprio così come i rami si differenziano dal tronco. Nel Medioevo l’Albero secco era il simbolo della sovranità perduta e questa immagine ritorna nel Signore degli anelli; infatti, con il ritorno del re, l’albero torna a nuova vita. Simboli, quindi, che rimandano a una concezione della sovranità sacra e al mondo della Tradizione. Non a caso altri simboli sono altrettanto espliciti: dall’anello al drago, al viaggio sottoterra. Ma, alla base di questa "nuova" mitologia tradizionale, c’è una vera e propria cosmogonia le cui
coordinate sono rintracciabili principalmente ne Il Silmarillion, frutto
della fantasia creatrice, che non è semplicemente "inventare" ma qualcosa di più profondo, come ha spiegato Mario Polia. La fantasia creatrice, cui fa riferimento
Tolkien, non va confusa con la fantasia espressa dai residui psichici nel sogno
volgare. Infatti, esiste «uno stato di sogno – dice Polia – che definiremmo “lucido” il
quale prescinde completamente dalle impressioni dello stato di veglia. Questo
stato consiste nell’immersione della mente nella luce astrale del cosmo. è lo stato di veggenza che ritrova il contatto con le forme sottili del
reale, e corrispondente analogamente alla fase intermedia del processo cosmogonico». Il riferimento nel Signore degli anelli è nella "visione degli Ainur". Il processo cosmogonico, quindi, esprime una
profondità tale che fa dell’opera di Tolkien qualcosa di più della più
lunga fiaba esistente. Ma gli anelli di Tolkien cosa insegnano, a cosa rinviano, da un punto di vista simbolico? Una delle poesie del romanzo narra:
Il numero quattro è quello della materia, mentre il tre è il numero
dello spirito e della nascita di ogni forma. Insieme rappresentano la
completezza. Il numero sette è quello delle arti liberali e di Minerva la
sapiente, in altre parole richiama i nani costruttori, mentre il nove è il
numero della redenzione dell’uomo, come Dante già diceva. Il senso di un
unico anello può far riferimento a tutto, al potere, alla sapienza. Elémire
Zolla non esclude in un suo scritto il riferimento a quanto Louis-Claude de
Saint Martin affermava nella prefazione al libro di Jacob Bohme Aurora: il
segreto terribile. Cioè, il presagio che «le scienze naturali scisse dalle divine, troveranno comunque il modo di
far deflagare il fuoco essenziale di ogni cosa». Insomma, ha davvero ragione Gianfranco de Turris, uno dei massimi esperti italiani di Tolkien, nell’affermare che l’opera del professore di Oxford è uno scrigno dal quale possono trarsi mille simboli e mille miti, che tutti si riferiscono alla Tradizione. L’opera è, quindi, una sorta di grammatica della fantasia creatrice, una neomitologia europea che si esprime attraverso una grande cosmogonia basata sulle antiche saghe e sui racconti dell’antichità nordica indoeuropea. Bibliografia
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Le recensioni di Vito Attolini: Il signore degli anelli. La compagnia dell'anello
Franco Cardini, Fedele al testo "Il Signore degli anelli" al cinema
L'«altra» recensione: di Giuseppe Losapio; di Gaetano Pellecchia
©2005 Manlio Triggiani. Articolo apparso sul numero 126, aprile-giugno 2002, di «Vie della Tradizione».