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di Lilly Lazzarini (Cuccu'ssétte)
Fantaghirò
1991 ss., regia di Lamberto Bava
Fantaghirò è una serie televisiva dei primi anni Novanta, realizzata da Lamberto Bava e trasmessa da Canale 5 nel periodo natalizio. Si tratta di una trasposizione assai libera della fiaba italiana Fantaghirò persona bella, superbamente narrata da Italo Calvino che a sua volta rielaborò una ‘fola’ montalese. La vicenda della principessa che si finge cavaliere pur di fermare la guerra viene reinterpretata in chiave medievale fantasy. Il mondo della principessa è un medioevo pagano, forse ispirato alla Boemia e alla Moravia precristiane. La magia funziona e può essere terribile; gli spiriti della foresta sono concreti quanto i magnifici castelli, gli alberi possono animarsi e così le pietre, alcuni animali parlano, le grotte sono popolate da mostri orribili e la gente implora gli dei. Del testo di Italo Calvino, resta l’idea di base, gran parte delle vicende sono inventate di sana pianta, una scelta dovuta alla necessità di dilatare i tempi della narrazione e creare due parti da 100 minuti ciascuna. Il ‘tradimento’ è giustificato dalle esigenze di distribuzione, tuttavia non dovrebbe scandalizzare perché molte fiabe venivano arricchite di episodi inventati per divertire gli ascoltatori nelle sere di veglia o sulle piazze dei paesi.
Le invenzioni consentono di dare colore al mondo in cui vive la principessa, e donano un seppur minimo spessore psicologico ai personaggi, attualizzandoli. La protagonista cambia radicalmente: nella fiaba è amata dal padre, ha due sorelle coraggiose quanto inette e sconfigge il re nemico senza muovere un muscolo, grazie all’astuzia. Sullo schermo è la terzogenita di un sovrano da sempre impegnato in una logorante guerra; il sire si attendeva un erede maschio e quando l’amata regina è morta nel darla alla luce, ha provato a sacrificare la neonata a una misteriosa creatura delle grotte. Fantaghirò è una continua delusione per il padre: ama correre, tirare con la fionda, leggere, e continua ad agire come un maschiaccio nonostante le punizioni disumane che l’attendono. La società in cui vive ha una mentalità maschilista e il re cerca con ogni mezzo di educare la bambina secondo modelli di obbedienza, modestia. Per Fantaghirò la vita a corte è un inferno; per fortuna ha dalla sua parte la Strega Bianca, uno spirito della foresta che di volta in volta assume le sembianze di topolino, di cavaliere, di oca… è lei, nell’aspetto del Cavaliere bianco, ad addestrare la ragazza nel maneggio della spada, a prepararla per le sue avventure. Come nella fiaba, Fantaghirò si innamora del nemico, e l’amore la mette in crisi, non sa se seguire la sua natura ribelle o la voce del cuore. Nel racconto popolare la principessa recita la parte maschile per il bene del reame, ed è ben felice di tornare alla vita di principessa. Sullo schermo la ragazza detesta per davvero le occupazioni femminili, almeno fino all’epilogo. La conclusione, seppure aperta ai futuri sequel ( ne verranno girati ben quattro ), in parte contraddice la costruzione del personaggio. Il bacio in abiti femminili sembra un’aggiunta dovuta, introdotta per rassicurare le platee familiari, e suggerisce dubbi più che sciogliere dilemmi. La fiction di Lamberto Bava è profondamente influenzata dall’esperienza del regista, figlio di Mario Bava, autore di horror. Le pellicole del padre sono produzioni a basso costo, capaci di dare nuova vita al cinema di genere; anche Lamberto Bava si trova a lavorare con mezzi contenuti, e reinventa il linguaggio della fiaba, introducendo temi ‘adulti’ e limitando le melensaggini. Si rivolge a grandi e piccini, creando una saga apparentemente ingenua, che si presta a molteplici livelli di lettura. A distanza di tanti anni Fantaghirò può apparire datato, gli effetti speciali appaiono irrimediabilmente naif, tuttavia negli anni Novanta poche pellicole potevano permettersi trucchi meno ingenui. La grafica digitale muoveva i primi passi, era costosa e non garantiva la naturalezza necessaria alle immagini. Gli spettatori confinavano il genere fantastico nel limbo delle pellicole per giovanissimi, oppure accettavano l’artificio, con un atteggiamento analogo a quello delle platee di una piece teatrale. Nonostante i limiti tecnici, Bava suscita il senso di meraviglia grazie alla collaborazione di ottimi artigiani quali Sergio Stivaletti e Armando Valcauda. Gli esterni e parte degli interni sono stati ambientati in location suggestive e a buon mercato, in Slovacchia e in Repubblica Ceca, precisamente nel Castello di Bouzov, nel Castello di Pernštejn e nel Castello di Bojnice. La fotografia curata valorizza i set, e compie veri e propri miracoli per minimizzare le ristrettezze e valorizzare gli attori, soprattutto nelle scene di azione. Sorprendente è la colonna sonora, realizzata da Amedeo Minghi; Rossana Casale, interprete con alle spalle esperienze di teatro, canzone d’autore, jazz, incanta gli spettatori nel brano ‘Mio nemico’.
Lamberto Bava riesce a ottenere il meglio da quanto è a sua disposizione, avvicinandosi alla fiaba con atteggiamenti analoghi a quelli mostrati dal padre per l’horror, e proponendo un intrattenimento onesto. La sceneggiatura attinge a piene mani dal folklore e dalla tradizione cinematografica italiana. Dai peplum giungono le scenografie e i costumi appariscenti, i duelli coreografati, il blando erotismo. Lo spirito che anima le vicende è assai moderno, il copione rifugge da caratterizzazioni banalizzanti; purtroppo le interpretazioni non sono sempre all’altezza delle aspettative. Alessandra Martines è stata compagna di Claude Lelouche, ma la vicinanza di un Grande non l’ha trasformata in un’attrice completa. Recita come se fosse in un fotoromanzo degli anni Cinquanta, né la preparazione da ballerina aiuta, quando si tratta di maneggiare un’arma bianca da filo. Qualsiasi guerriero addestrato riderebbe nel vederla brandire una spada a una mano con entrambe le braccia, con tanto di mano secondaria che non sa se stringere parte dell’impugnatura e del pomolo, o appoggiarsi sulle ultime dita della destra. L’unica volta in cui sembra saper cosa fare della lama che impugna, è coperta da un’armatura completa… una trovata che probabilmente nasconde una controfigura. Fisicamente la protagonista rende poco il ruolo, basta conoscere le rare donne che si accostano seriamente alla scherma medievale: l’uso di una spada esige forza e precisione, doti che la danza classica relega in secondo piano. A proposito: nelle compagnie di rievocazione attente all’accuratezza storica di abiti ed attrezzature il soprannome ‘Fantaghirò’ è poco lusinghiero, viene attribuito a ragazze che pur di non mortificare la propria femminilità utilizzano protezioni troppo leggere e corpetti degni di fantasy di serie B. Si può obiettare che Lamberto Bava ha diretto una fiaba, e il suo medioevo è basato sull’idea dell’epoca radicata nell’immaginario collettivo, tuttavia la verosimiglianza latita nelle scene d’azione, sacrificata alla spettacolarità più diretta, una scelta che espone la pellicola alle critiche degli spettatori più esigenti. Fantaghirò è una pellicola falsamente ingenua; per i più piccoli, è una rassicurante fiaba, per i preadolescenti, l’incontro con il fantasy. Ci sono tutti i personaggi tipici, eroi, antagonisti, aiutanti sovrannaturali… tutti sono reinterpretati, e i ruoli loro attribuiti dalla tradizione subiscono una brusca trasformazione. Regna l’ambiguità di genere e i personaggi maschili in particolare sono creature caricaturali o fragilissime. Il re è un uomo violento, incapace di accettare la diversità della bambina. Ignorante e superstizioso, è la vittima designata dei complotti dei cortigiani, un po’ come avveniva ai personaggi patrizi nella Commedia dell’Arte. Romualdo incarna una vera e propria icona gay; è attratto da Fantaghirò proprio per l’ambiguità che sprigiona, vuole scoprire e sia maschio o femmina, ama questa creatura e si tormenta, perché sa di poter provare passione per un uomo e rifiuta un eventuale legame omosessuale. è prigioniero dei pregiudizi inculcati dall’educazione, è un debole che si affida all’esperienza dei compagni, e soffre per contraddizioni interiori mal risolte.
Nel mondo da operetta popolato da oche parlanti di plastica e da sassi e alberi di gommapiuma, entra di contrabbando una profonda riflessione sull’Amore, sulla fisicità, sulle convenzioni sociali, e sulla fatuità delle apparenze. L’aspetto esteriore è un involucro, spesso ingannevole, come gli splendidi doni inviati alle figlie del re dai pretendenti, principi stupidi, brutti oppure antipatici. Mai giudicare a prima vista, ci ricorda più volte il copione: la Strega Bianca è allo stesso tempo oca, topo e Cavaliere; Fantaghirò è il Conte di Valdoca, gli indovini sono ciarlatani prezzolati, il potere è affidato a un uomo borioso, meschino e superstizioso. Le sorelle offrono l’occasione di valutare quanto l’educazione condizioni i nostri comportamenti e quanto sia invece dovuto alle nostre inclinazioni. Inizialmente obbediscono alle convenzioni, accettano e decisioni paterne, ma imparano dall’esperienza. Ovviamente restano molto diverse da Fantaghirò, non ci si improvvisa amazzoni né si diventa letterate quando si è trascorsa una vita tra ricami e cucine, tuttavia danno prova di saggezza, decidendo di sposarsi con gli attraenti compagni di Romualdo. I personaggi femminili escono vittoriosi, e la protagonista è un personaggio molto innovativo, distante anni luce da gran parte delle eroine che il cinema ha proposto e proporrà negli anni seguenti, con poche eccezioni fortunate e tanti emuli mal riusciti.
Icona gay, pietra miliare di un genere, fiaba leggera e scorrevole per sognatori di tutte le età, pasticcio kitsch, telenovela fantasy, cult adolescenziale… il regista rifugge una lettura univoca, anzi, sembra incoraggiare diverse fruizioni. Il successo della serie, popolare anche all’estero, è almeno in parte dovuto alla libertà di interpretare vicende e protagonisti come meglio si crede. L’originalità delle scelte di Lamberto Bava è stata premiata, la serie ha avuto ben quattro sequel, ha ispirato un cartoon, è stata riproposta in forma di telefilm e viene replicata nel periodo natalizio. Si favoleggia di un possibile nuovo sequel, richiesto con petizioni on line da centinaia di fan. Molti anni sono passati dal lontano 1991, la tecnologia ha trasformato i vecchi mestieri del cinema, la grafica digitale ha imposto un’estetica visiva molto distante da quella della serie originale, e come se non bastasse i protagonisti sono invecchiati. Forse è meglio se il desiderio degli spettatori resta tale, o se viene concretizzato da fan film e sequel apocrifi, lasciando a Fantaghirò il valore di un dolce ricordo.
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©2013 Lilly Lazzarini