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di Franco Zeffirelli, 1968
Romeo e Giulietta di Zeffirelli è solo una delle numerosissime versioni cinematografiche dell’omonima tragedia, seppur la più importante e famosa. Film ad essa ispirati se ne sono fatti sin dall’origine del cinema, basti pensare che il primo risale addirittura al 1900, e periodicamente ne escono di nuovi, più o meno fedeli all’originale teatrale. La fortuna della tragedia non si ferma senz’altro al cinema, essendo, al contrario, la sua storia fortemente ripresa anche in altri ambiti, dalla letteratura, alla musica, per passare all’animazione, alla fumettistica, ai videogiochi e altro ancora. Tutto ciò è insieme causa e conseguenza del grande successo che la storia di Romeo e Giulietta ha incontrato anche nel grande pubblico, tale da farne senza ombra di dubbio la più famosa opera di Shakespeare e una delle più famose al mondo. Confidando quindi sulla pressoché universale conoscenza della vicenda, si può, se non sorvolare sulla trama, per lo meno trattarne molto velocemente. Essa riguarda due giovani innamorati nella Verona di XVI secolo, appartenenti a due famiglie atavicamente rivali tra loro: i Montecchi, a cui appartiene Romeo, e i Capuleti, di cui fa invece parte Giulietta. I due mantengono la loro storia d’amore, coronata infine da un matrimonio, nascosta alle due famiglie; solamente la fedele balia di Giulietta ne è al corrente, assieme a padre Lorenzo, punto di riferimento per i due giovani, che li sostiene e aiuta sino alla tragica fine. Principio di questa è un delitto, che conduce alla morte di Mercuzio, stretto amico di Romeo, legato saldamente alla fazione dei Montecchi, per opera di Tebaldo, cugino di Giulietta, e quindi un Capuleti anch’egli. La vendetta di Romeo provoca la reazione del principe di Verona, già da tempo infastidito per i pubblici disordini causati dagli scontri tra le due fazioni, che decide di esiliarlo. Giulietta cerca subito conforto da padre Lorenzo alla sua disperazione, aggravata dalla volontà del padre di sposarla a Paride. Rattristato dal suo dolore, padre Lorenzo, per ravvicinarla finalmente e definitivamente a Romeo, che intanto sconta la sua pena a Mantova, escogita un piano: Giulietta dovrà bere una pozione che provoca per quarantadue ore uno stato di morte apparente, in modo tale da venir creduta morta e posta nella cripta di famiglia. Intanto Romeo sarebbe stato avvertito del piano per tornare di nascosto a Verona e attendere il risveglio della sua giovane sposa, con l’intento poi di scappare, questa volta insieme. La messa in scena non porta però al lieto fine sperato da padre Lorenzo e Giulietta. Il servo di Romeo infatti, dopo aver assistito al funerale della giovane Montecchi, ignaro dell’inganno, la crede realmente defunta e decide di correre a Mantova dal padrone per riferirgli subito la tremenda notizia. Per la disgrazia di tutti, riuscirà nel suo intento prima del messaggero mandato da padre Lorenzo. Romeo si precipita dunque a Verona, nella tomba Capuleti, e ingerendo del veleno si lascia morire accanto al corpo apparentemente esanime di Giulietta. Che, risvegliatasi e vedendo il corpo senza vita del suo innamorato, si trafigge il petto con il suo pugnale. Solo dopo la scoperta dei due corpi si rivelerà alle due famiglie il loro amore, mentre l’ammonizione finale del principe durante i funerali farà luce sull’insensatezza di un odio che ha condotto al suicidio di due innocenti, giovani innamorati.
Prima di tutto, una piccola considerazione. Dal momento che il film di Zeffirelli rappresenta una trasposizione cinematografica di una tragedia, l’analisi che qui ci si propone di fare, sull’utilizzo nel cinema di elementi afferenti al Medioevo, inteso come periodo storico ma soprattutto come serbatoio di immagini, incorre in una particolare difficoltà. Evidentemente, infatti, ciò che nel film Romeo e Giulietta può essere considerato a questo fine non potrà tuttavia essere attribuito interamente alla libera volontà del regista. Che rimane necessariamente vincolato ad un primo filtro da cui passa la storia, quello ovviamente rappresentato dal drammaturgo inglese William Shakespeare. A maggior ragione se la sua scelta è stata quella di una trasposizione il più strettamente fedele all’originale. A testimoniare questo sforzo è anche la scelta ricaduta su due attori giovanissimi per l’interpretazione dei protagonisti, a cui fossero anagraficamente molto vicini: l’attrice che veste i panni di Giulietta, infatti, l’argentina naturalizzata britannica Olivia Hussey, al tempo delle riprese aveva solo sedici anni, pochi di più rispetto ai tredici del personaggio shakesperiano, mentre diciassette ne aveva Leonard Whiting, interprete di Romeo. Detto questo, è forse utile riflettere sui motivi che hanno potuto permettere al Medioevo di insinuarsi in una storia di età moderna. Come già detto infatti, Romeo e Giulietta è una tragedia ambientata alla fine del XVI secolo, nello stesso periodo della sua stesura, non propriamente all'interno dei limiti cronologici del Medioevo, anche se vi è in questa valutazione molta libertà di scelta. Oltre alla fortuna che alcuni temi di origine medievale hanno avuto nel corso di tutti i secoli a venire, ripresi con maggiore o minore costanza e intensità, maggiore o minore criterio, la causa più probabile è forse il fatto che la tragedia non sia interamente un'opera originale, quanto la meta finale di una storia elaborata e rielaborata nel corso degli anni in vari luoghi e da vari autori. La struttura originaria viene infatti offerta da Masuccio Salernitano, scrittore vissuto nel XV secolo, nella raccolta il Novellino, pubblicata postuma nel 1476, dove, tra le altre, viene narrata la storia di Mariotto e Ganozza, giovani senesi impossibilitati però da cause esterne a suggellare il loro amore, che avrà fine con la loro morte. Da allora, numerose riprese, con eguali modifiche, si sono succedute negli anni. A partire dalla rielaborazione di Luigi da Porto, per passare a quella di Matteo Bandello, tradotta poi in francese da Pierre Boaistuau. Il passaggio oltre Manica, siamo ormai nella seconda metà del Cinquecento, si deve ad Arthur Broke, con il suo rifacimento in versi della novella di Boaistuau, e a William Painter, che invece propone una traduzione in prosa. E soprattutto al primo di questi due farà riferimento William Shakespeare per la stesura della sua tragedia. Un percorso durato quindi più di un secolo quello che alla fine porta nelle mani di Shakespeare il materiale "grezzo" da cui modellare un gioiello del teatro moderno. In tanta strada fatta, sia nel tempo, che nello spazio, è inevitabile che la storia, originariamente di Mariotto e Ganozza, abbia subito numerosissimi e decisivi mutamenti. Tralasciando qui quelli squisitamente letterari, interessa di più fare riferimento ad un determinante cambiamento per quel che riguarda l'ambientazione. Si è detto sopra che la novella di Masuccio Salernitano tratta di due giovani senesi, e Siena è la località dove ha luogo per la gran parte la loro storia. è solo con l'Historia novellamente ritrovata di due giovani amanti di Luigi da Porto che Verona diventa la cornice delle vicende narrate. Oltre a questo cambiamento, ve ne è un altro per noi di maggiore rilevanza, che riguarda la collocazione temporale della vicenda, non più, come per il Mariotto e Ganozza, contemporanea all'autore, ma ambientata nel passato, al tempo di Bartolomeo I della Scala, signore di Verona dal 1301 al 1304. L'influenza di Luigi da Porto deve essere stata tanta se, oltre alla trama, della novella Shakespeare conserva anche il personaggio del principe, nonostante figura storicamente incompatibile con la città di Verona a fine cinquecento, quando, non godendo ormai da lungo tempo dell'autonomia politica, sottostava al dominio di Venezia. Privo di grandi legami con la storia, il principe, in quanto personalità individuale e fisicamente definibile che in sé assomma il potere, può però, meglio di altri, rispondere alla funzione che gli viene attribuita nella tragedia: quella di garante della giustizia, se non addirittura sua incarnazione. Nel film quest'aspetto emerge con evidenza: o in carne ed ossa, o semplicemente come invocazione, il principe, utilizzando un linguaggio da teatro, qui evidentemente opportuno, entra in scena solo quando la legge sta per o è stata violata. Esemplificativi sono la scena dello scontro tra le due fazioni nella piazza della città all'inizio del film, interrotta dal suo arrivo a cavallo con il seguito di guardie, e quella del duello tra Mercuzio e Tebaldo, quando un compagno del giovane Montecchi gli si avvicina tentando di dissuaderlo dalla contesa.
Entrambi gli avvenimenti hanno luogo nella piazza, che ospita altri momenti di svolta nella narrazione, come l'incontro di Romeo con la balia di Giulietta, nel quale egli dichiara il suo intento di matrimonio, o l'uccisione di Tebaldo, a cui segue l'esilio di Romeo. Non è evidentemente la piazza di Verona che vediamo nel film, anzi, tra i numerosi luoghi scelti per le riprese, Verona non compare affatto, se non per una velocissima visione del centro storico nelle prime sequenze. Quella che vediamo è invece la piazza di un piccolo comune in provincia di Perugia, Gubbio. è a questa principalmente che Zeffirelli attribuisce il compito di rappresentare l'ambiente cittadino. Con la chiesa che su di essa si affaccia e le mura che l'attorneano, non può che stimolare la rievocazione di immagini medievali. Cosa, infatti, più di una monumentale chiesa romanica e una cinta muraria con merlature ci fa pensare ad una città medievale? E non avremmo tutti i torti a darli questa rilevanza se già e proprio dal Medioevo si iniziarono a creare attorno ad essi delle forti valenze simboliche. La chiesa, meglio ancora se cattedrale, e le mura, oltre alle immediate esigenze a cui rispondevano, erano rivestite da una non meno importante funzione identitaria. Chi infatti viveva all'ombra della chiesa e all'interno delle mura sentiva di essere diverso dagli abitanti del circondario, appartenente ad una comunità differente per molti aspetti, non ultimo giuridici, e giudicata superiore e privilegiata. Il film si muove in questo spazio, in questi viottoli, tra questi edifici in pietra, ma anche nel palazzo Capuleti, dove avviene il primo, casuale incontro tra Romeo e Giulietta, nello studio-laboratorio di padre Lorenzo, tra i suoi libri e le ampolle contenenti pozioni di varia natura e colore, il cimitero, dalle forti venature gotiche, riprodotte fedelmente all'immaginario, con la nebbia che vaga fra le lapidi, inghiottendo la debole luce lunare, per risputarne fuori solo le sfumature più lugubri e spettrali. è in questo spazio che si muovono i personaggi. è in questo spazio che si muove Romeo, probabilmente tra essi il più dinamico, quello che si porta più agilmente in tutti i luoghi dell'azione, andando anche oltre Verona per scontare il suo esilio. Lungo tutta la storia, ogni sua azione è informata dall'amore per Giulietta. è questo, senza alcun dubbio, il sentimento più forte e lo stimolo più solido ad agire. Se questo è vero, è anche vero tuttavia che ad un certo momento esso si vedrà sopraffatto da un altro sentimento, ugualmente intenso e prorompente, quello dell'ira e del furore, che si scatena in Romeo all'uccisione del caro amico Mercuzio. La forza di tale furore è tanto maggiore da spingerlo ad un atto evidentemente contrario agli interessi del suo amore, il duello con Tebaldo. Che, qualunque ne fosse stato l'esito, lo avrebbe reso odioso a tutta la famiglia Capuleti, impedendo che l'unione con Giulietta, già sancita dal segreto matrimonio, potesse essere accettata.
L'amore, che si colora di un carattere devozionale, da una parte, il desiderio di vendicare con uno scontro armato la morte di un compagno, dall'altra, appartengono entrambe al canone del buon cavaliere, così come ci viene solitamente raccontato, per cui Romeo sembrerebbe esserne a suo modo il portatore della morale. Certo, egli non è il prode che nel corpo a corpo mostra tanto vigore quanto coraggio e una spiccata abilità con le armi (tanto è vero che si trova presto in difficoltà di fronte al più esperto Tebaldo e la vittoria finale non è che un frutto del caso), ma, al di là delle doti tecniche, come "l'eroico cavaliere" si lascia guidare solo da grandi e nobili sentimenti, non rifuggendo, in nome di essi, lo scontro armato. Un ultimo accenno vorrei farlo su un personaggio poco toccato, ma di determinante importanza nella narrazione: padre Lorenzo. Personaggio chiave, colui da cui partono sia le iniziative che portano a metà del film-tragedia a quello che sarebbe un perfetto finale da commedia, il matrimonio tra i due giovani, sia quelle a cui sono definitivamente legati gli esiti tragici, padre Lorenzo è anche quello più vicino ai protagonisti, il più interessato alla loro vicenda e il più coinvolto nelle loro peripezie; è così legato a Romeo e Giulietta da essere disposto a mettere le proprie conoscenze al servizio di una grande menzogna, la finta morte di Giulietta, unicamente per il loro bene e la loro felicità. Padre Lorenzo è un frate francescano, e nel suo ruolo di difensore e guida rappresenta la quintessenza del francescano. «Essi [i francescani], infatti, non fuggivano il mondo, ma cercavano l’uomo, dovunque egli fosse e qualunque fosse il suo stato di vita, con una preferenza spiccata per gli umili e gli emarginati», scrive Giovanni Vitolo nel suo noto manuale di storia medievale, e Romeo e Giulietta sono senza dubbio vicini a questo stato di emarginazione: costretti come sono a mantenere il loro amore clandestino, si devono tenere a distanza dagli altri, così come a quello di umiltà, se si accetta questo termine per riferirsi non allo stato economico ma alla privazione di potere. Non hanno alcuno strumento efficace per imporre o rendere accetta la loro scelta, la perseguono senza che nessuno ne sia a conoscenza, lontani da tutti, come emarginati appunto. In questo stato di cose, padre Lorenzo rappresenta l’unica ancora di salvezza, il solo che possa realizzare i loro desideri. I mezzi a sua disposizione non sono certo quelli del potere e dell’autorità; non può a muso duro scontrarsi con le due famiglie e far vincere la sua posizione, ma dispiega il suo piano per altre vie, facendo uso di azioni celate e inganni, anche se apparecchiati per scopi esclusivamente positivi. Personalità che dimostra, accanto all’affetto tenero e paterno nei confronti di Romeo e Giulietta, un temperamento spesso anche forte e severo, come emerge dalla reazione davanti a Romeo bramoso di suicidarsi dopo la notizia della sua condanna all’esilio. Pur cedendo all’indecisione e alla debolezza quando, dopo essere entrato nella cripta Capuleti, scappa terrorizzato dall’eventualità di essere scoperto dai membri della famiglia, lasciando Giulietta sola con il corpo dell’amato, pur forse consapevole di quelli che sarebbero stai i suoi intenti, ritrova l’antico vigore e riscopre la sua sicurezza nella finale, feroce condanna alla condotta delle due famiglie.
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©2012 Alessandro Giancipoli