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Harry Potter E IL PRIGIONIERO DI Azkaban
(Harry Potter and the Prisoner of Azkaban)
di Alfonso Cuarón, 2004
Una favola-movie vista da un non-estimatore del genere fantastico potrebbe subire un giudizio viziato dal preconcetto di trovarsi di fronte ad un film "infantile" nei contenuti e nel tipo di pubblico. Non nascondo che l'idea di andare al cinema per vedere le vicende del maghetto inglese saccente con la faccia da "genio in erba" mi ha inizialmente procurato un notevole fastidio. Non si può d'altra parte negare che esista qualche elemento convincente, a partire dalle atmosfere gotiche delle strutture fortificate svettanti verso l'alto e nelle inquietanti ambientazioni naturali (l'albero animato che si scrolla le foglie secche in autunno e la neve in inverno). La trama è diffusamente nota: si tratta del terzo episodio della serie, dedicata alle avventure di Harry Potter che questa volta è alla ricerca, senza saperlo, dell'assassino dei suoi genitori. Il film appare subito lontano dalle disneyane ambientazioni da parco dei divertimenti e concentra sin dall'inizio l'attenzione sui buoni sentimenti, sul legame prematuramente reciso con i genitori e sull'antica e retorica contrapposizione tra il Bene (Harry, ragazzino "pulito" e dai sani principi) e il Male che si identifica negli zii di Harry, personaggi che conducono una vita tanto opulenta nell'alimentazione (tutti tronfiamente grassi fino a scoppiare) quanto povera di filantropia e di sana intelligenza. Il male sembra identificarsi fatalmente anche con figure ambigue, dotate di una doppia natura, come quella di uno dei professori (Remus Lupin), umano di giorno e lupo mannaro di notte. Tra le righe si legge il messaggio didascalico che incoraggia a guardare a fondo nei caratteri umani e a non giudicare una persona come integralmente buona o totalmente malvagia.
Prevale
inoltre il sentimento e il valore dell'amicizia adolescenziale, ancora
apparentemente scevra da complicazioni sentimentali o sensuali. Tra i due amici
inseparabili di Harry tuttavia è Hermione (al secolo
Emma
Charlotte Duerre
Watson) a
mettersi in evidenza con le sue raffinate doti di astuzia femminile, oltre che
magiche. La maghetta sveglia dimostra di essere determinante nello sviluppo
della trama, a tal punto che in più di un'occasione Harry ha salva la vita
grazie a lei. Un
lungo topos letterario, che affonda le
sue origini già nelle favole di Esopo, caratterizza l'operazione di
attribuzione dei nomi che, non a caso, racchiudono nel loro significato
lessicale un riferimento al carattere stesso dei vari personaggi (Sibilla
si chiama, ad esempio, la docente di Divinazione; e Sirius
Black è il "brutto sporco e cattivo" della situazione, come già
fa presagire il suo nome). Guardando Harry Potter mentre allarga le braccia volando in sella ad un ammansito ippogrifo, la mia mente è volata anch'essa a Che Guevara nell'analoga postura sulla sua motocicletta nel film I diari della motocicletta. Ma non si deve pretendere troppo. Ritengo piuttosto che si tratti di un tentativo di scimmiottare l'imberbe Di Caprio nel filmone "titanico strappalacrime". Un dèjà-vu alla Sliding doors occupa la parte finale del film, quando una lunga sequenza è rivissuta con lievi modifiche, ma attraverso tutta una serie di diverse inquadrature prospettiche. La trovata non raggiunge un effetto particolarmente decisivo nell'economia del film, mostrandosi talvolta pleonastica e inefficace. Una critica alla società moderna si ravvisa, molto brevemente, nell'eccessivo benessere degli zii e nell'ottenebramento della mente del cugino grasso, ipnotizzato dalla scatola mediatica che lo bombarda di immagini senza senso. Dov'è dunque il Medioevo nella vicenda? Forse soltanto nella mappa del castello, dove ha sede la scuola di magia. Si tratta di un supporto scrittorio pergamenaceo, opportunamente ingiallito, che ricorda i primi tentativi di piantine di borghi cittadini di fine Medioevo. Le indicazioni presenti sulla mappa sono vergate in una gotica rivisitata in chiave troppo "post-moderna", probabilmente per renderne più agevole la lettura allo spettatore a digiuno di basi storiche.
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©2004 Lucia Angelica Buquicchio