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Robin Hood, principe dei ladri
(Robin Hood: Prince of Thieves)
di Kevin Reynolds, 1991
Due cicli, unitosi in un'unica ballata dal nome Gest hanno dato vita a partire dal XIV-XV secolo all'embrione della leggenda che avrebbe dominato altre ballate, racconti, tradizioni, romanzi e film. Robin Hood, protagonista dell'azione modellatrice di registi a partire dal 1908 con un primo film muto Robin Hood and his Merry Men di Percy Stowe, sarà presente nella scena cinematografica sotto molte vesti e sotto la dettatura di grandi nomi quali Walter Scott o Alexander Dumas che forniscono spunti e un copione più completo. Nel 1991 Kevin Reynolds in Robin Hood, principe dei ladri (Robin Hood: Prince of Thieves) guarda da un ulteriore punto di vista l'eroe. Non attuando una svolta eversiva rispetto a proposte precedenti, la storia qui presentatoci è un passato leggendario intriso di “contemporaneità”.
La cinepresa, guidata dall'occhio del regista, propone una vicenda a sfondo medievale-leggendario con alcuni tocchi di originalità che tuttavia non abbracciano l'esattezza storica, mettendo in scena un film che ha riscontrato successo principalmente per la storia d'amore ornata dalla voce di Bryan Adams («Everything I do, I do it for you») e per un cast che non passa inosservato. «800 years ago, Richard The Lionheart King of England, led the third Great Crusade to reclaim the Holy Land from the turks. Most of the young English noblemen who flocked to his banner never returned home. Jerusalem 1194 AD». («800 anni fa, Riccardo Cuor di Leone, Re d'Inghilterra, condusse la terza Crociata per liberare la Terra Santa dai Turchi. Molti giovani nobili inglesi che sposarono la sua causa non fecero mai ritorno a casa. Gerusalemme 1194 d.C.»). Nero su bianco sono fornite allo spettatore inesperto le coordinate temporali, dove la tradizione vuole che la leggenda si collochi, nonostante alcune ricerche storiche e filologiche sul personaggio o sul presunto tale, l'abbiano datato durante il regno di Eduardo II Plantageneto (1284-1327). Gerusalemme è l'inizio. La scena si apre in una prigione, esordio particolare per una vicenda che l'immaginario comune colloca tra castelli e foreste, dando il via all'antefatto, motore dell'azione, che precedentemente alla regia di Reynolds è poco preso in considerazione. Dopo una fuga che mette in risalto già due delle caratteristiche fondamentali del protagonista abilmente affidato dal regista all'attore Kevin Costner, ovvero il coraggio e la generosità, esso fa ritorno a Nottingham, in Inghilterra con a seguito il mussulmano Azeem a cui ha salvato la vita. Cristiani e mussulmani: tema inusuale e poco messo in rilievo all'intero della proposta cinematografica della leggenda. Obbligo è sottolineare due elementi: il conflitto tra le due religioni che viene messo in evidenza (non la veridicità storica, quanto lo stereotipo dei cristiani che “liberano” la Terra Santa) e la figura del mussulmano. Azeem, il “grande essere”, perfettamente impersonato da Morgan Freeman, è uno strumento di costante esaltazione dei valori morali del principe dei ladri, il quale non fa differenza tra religioni e rischia la vita anche per colui il quale è “dipinto da Dio”. Forse un'azione un po' forzata da parte del regista? Il cinema tuttavia non è altro che un concetto travestito da immagine. è d'obbligo inoltre mettere in evidenza l'uso anacronistico del cannocchiale da parte del moro, strumento la cui origine è da collocare intorno al XVII secolo.
Tra le macerie del castello di Locksley, il cui nome arriva invariato dall’Ivanhoe di Walter Scott, trova il padre brutalmente ucciso, con modi tipici di tortura dell'età medievale, dagli uomini dello sceriffo di Nottingham (Alan Rickman) capeggiati dal cugino dello stesso, Guy di Gisborne (Michael Wincott) a loro volta a servizio di re Giovanni Senza Terra usurpatore del trono di Re Riccardo Cuor di Leone. Compare così la figura di Duncun, servo fedele reso cieco dagli stessi, ma superstite della tragedia e narratore delle brutalità avvenute in assenza del suo “padroncino”, rappresentante degli occhi del passato dello stesso protagonista. Un topos presente nella letteratura da secoli, da sempre espressione di colui il quale osserva con il cuore. Robin mette subito in atto una promessa fatta in guerra: recarsi da Lady Marian (Mary Elizabeth Mastrantonio), sorella del suo amico Peter caduto in battaglia, al fine di proteggerla. Da questo momento veniamo a conoscenza del secondo motore della film (se primo vogliamo considerarlo quello dell'azione del bene per contrastare il male): la donna e l'amore. Qual è l'immagine dell'amore che traspare dal film? L'amor cortese, il fin'amor, che nella letteratura ci offre donne dominanti su un cavaliere al loro servizio (com'è finemente teorizzato nel De Amore di Andrea Cappellano) sembra essere d’ispirazione al rapporto contrastato tra Robin e Marian, messo in scena dal regista, soprattutto nel momento in cui esso s’intreccia con la morte. Tuttavia talvolta è meglio fermarsi alle prime apparenze e ammettere che la telecamera inquadra semplicemente un sentimento reso più interessante dal contrasto iniziale. Lady Marian non assume i contorni della debole donna che è il cavaliere a dover salvare, ma al contrario quelli di una donna moderna e indipendente, oserei definire anacronistica, dal coraggio esasperato e da un'essenza quasi mascolina. Nel momento in cui Guy Gisborne e i suoi uomini si recano nella tenuta della stessa, Robin, Azeem e Duncan si rifugiano nella foresta di Sherwood nella quale fanno conoscenza e stringono un legame di amicizia, dopo un iniziale duello, con Little John, Will Scarlett e l'intero gruppo di uomini, donne e bambini a loro seguito che nel corso della vicenda emuleranno le principali virtù dell'eroe. La foresta di Sherwood rappresenta la terza tappa del percorso salvifico che ha inizio in prigione, si sviluppa presso il castello e ha compimento in essa: «La foresta, ostile e attraente insieme, ricercata e fuggita», come afferma Jacques Le Goff in Il corpo nel Medioevo, qui diventa un locus amoenus che assume i connotati di luogo di salvezza e rifugio. Dopo un incontro con il vescovo corrotto, causa stessa dell'uccisione del padre secondo l'accusa di essere devoto a Satana, Robin ferisce lo sceriffo, il quale da quel momento metterà una taglia sulla sua testa. «Popolo di credenti […] Sarebbe grave errore, invece attribuire a quei credenti un credo rigidamente uniforme», afferma Marc Bloch in La società feudale facendo riferimento all'atteggiamento religioso dell'Europa feudale. All'interno della vicenda sono tre le figure rappresentative del concetto di religione: Azeem, il vescovo e padre Tuck. Azeem è “l'infedele”, tuttavia è colui il quale offre un'idea di religione più pura rispetto alle altre due figure cristiane. Il mussulmano, infatti, portatore di un messaggio di civiltà maggiore rispetto a quello dell'Inghilterra normanna, da semplice fedele è messaggero di spiritualità e saggezza di cui sono privi gli altri due. Il vescovo è l'immagine della Chiesa corrotta, la cui uccisione per mano di padre Tuck è metafora emblematica del peso della ricchezza che nulla serve nel regno dei cieli. Padre Tuck, unitosi in un secondo momento al seguito di Robin, nonostante sia una figura del tutto controversa a causa della sua passione per i piaceri del cibo e della “buona birra” e di quel clero «reclutato senza sufficiente controllo e imperfettamente istruito», sempre secondo le parole di Marc Bloch, rappresenta la cristianità genuina e popolare, molto più pura di quella dell'alto rango ormai del tutto invasata dalla ricchezza e dalla volontà di potere.
Lo sceriffo di Nottingham, rappresentazione del disvalore per eccellenza, immagine quasi stereotipata dello sceriffo come forza del male, ordina ai suoi di rapinare gli abitanti della contea di Locksley, generando tuttavia un'azione opposta a quelli che erano i suoi stessi intenti. La taglia messa sulla testa dell'eroe e resa nota al popolo tramite volantini stampati (nonostante l'invenzione della stampa a caratteri mobili in Europa sia avvenuta com'è a tutti noto tre secoli dopo), a nulla serve. «Quello che prende lo dà a loro [...] lo amano», è questo il motivo dell'insuccesso dell'antieroe e ciò è dato dall'azione del suo nemico che “ruba ai ricchi per dare ai poveri”, espressione che riassume da secoli la stessa leggenda di Robin Hood. Il tema della ricchezza è infatti preponderante e in costante evidenza nello svolgersi del film: «La nobiltà non è un diritto di nascita, è determinata dalle azioni», affermerà il principe dei ladri ribadendo un topos letterario discusso da secoli a partire dalla Scuola Siciliana con Pier della Vigna e dallo Stilnovo con Guinizzelli, Dante e Cavalcanti sulla definizione del concetto di nobiltà secondo animo o stirpe, quest'ultima priva di cor gentile. In seguito ad un ulteriore incontro tra Robin e Marian avvenuto nella foresta, viene affidato il compito al vecchio Duncan di prendersi cura della lady, la quale tuttavia viene fatta rapire dallo sceriffo al suo ritorno, intenzionato a sposarla in quanto cugina del re Riccardo Cuor di Leone, quindi di sangue reale. Duncan torna nella foresta per avvisare Robin dell'accaduto aprendo inconsapevolmente la strada agli uomini dello sceriffo. Sotto i consigli della strega Mortianna, immagine di un Medioevo magico, dove la strega rappresenta il tramite mortale di Satana e lo strumento d’interpretazione del reale a discapito dell'osservazione, lo sceriffo aiutato dai Celti che «bevono il sangue dei propri morti», facendo qui riferimento non tanto ad un'antica tradizione, quanto ad uno stereotipo, tende un agguato a Robin Hood e ai suoi uomini: agguato che culmina nella prima vera e propria battaglia del film con annessi colpi di scena, morti e prigionieri. è, infatti, lo sceriffo a risultare vincitore e in un primo momento lo spettatore dovrebbe essere portato a pensare ad una scomparsa dello stesso Robin, azione che risulta del tutto banale. L'eroe è risoluto nel continuare sulla strada del coraggio. Will Scarlett, fatto prigioniero dallo sceriffo, si propone inizialmente nel ruolo di traditore, convincendo quest'ultimo che avrebbe tratto d'inganno Robin. Una volta tornato indietro tuttavia svela quello che è un vero e proprio colpo di scena: essere il fratello di Robin, frutto della momentanea passione tra il nobile padre di Locksley e un'umile donna che lo mise in vita. Si apre così il capitolo finale, il punto di svolta della vicenda e del film. Previste per il giorno delle nozze tra Lady Marian e lo sceriffo, sono le esecuzioni dei prigionieri che Robin e i suoi tentano di sventare con un piano e un'annessa azione del moro Azeem il quale fa uso della “polvere nera” all’interno di una “bottiglia molotov” del tutto anacronistica.
«Vale la pena morire per lei?», «Sì, vale la pena morire per lei»: è questo l'esordio al duello finale che avverrà tra lo sceriffo simbolo del male e Robin quello del bene, una lotta manichea nella quale preverrà il valore sul disvalore. Il duello è affiancato anche dallo svolgimento della profezia del moro e della strega, la quale si concluderà con la morte di quest'ultima per mano di esso. Il bacio tra Marion e Robin rappresenterà l'antefatto alla scena finale: il matrimonio tra i due, suggellato dallo stesso re Riccardo Cuor di Leone (Sean Connery, protagonista nel 1976 di Robin e Marian di Richard Lester, accanto a Audrey Hepburn) e celebrato da padre Tuck nella foresta. Conclusione volutamente romantica per una vicenda che talvolta ha avuto la propria fine con la morte dell'eroina (nello stesso film da me sopra citato) o puntando ulteriormente la lente d’ingrandimento sull'eroe di Sherwood come nel film Robin Hood del 2010 di Ridley Scott: ciò è un'ulteriore conferma del taglio sentimentale della regia di Reynolds che decide volutamente di porre in secondo piano gli altri temi, scelta che lo portò al successo. Un Medioevo tout court, presentato tanto brevemente da essere sfuggente agli occhi dello spettatore esperto, affiancato da stereotipi, inesattezze storiche e vene di contemporaneità hollywoodiana, ha segnato paradossalmente la fortuna del film, preceduta da quella della leggenda stessa che da sempre affascina lettori e spettatori.
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©2012 Stefania Petruzzelli