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(A Knight's Tale)
di Brian Helgeland, 2001
Storicità Come avete potuto leggere nelle recensioni americane riportate su questo sito (vedi la scheda), questo film ha raccolto pareri e opinioni assolutamente discordi ed opposte: alcuni lo ritengono assolutamente pessimo e da non vedere, altri ritengono la sua realizzazione e il suo regista, nonché il cast, prodigiosi e fantastici. Dunque il film è esattamente questo: FANTASTICO; fantastico in tutti i significati che a questo termine possiamo dare. Dai primi minuti, come già qualcuno ha avuto modo di dire, ci si accorge di non trovarsi dinanzi ad un film storico; anzi, il film è volutamente a-storico. Scenografia, costumi, messe in scena, ricostruzioni, ed anche le ambientazioni sono ben realizzate (si nota immediatamente che il film è un prodotto americano) ma è volutamente e assolutamente pacchiano e storicamente, questo è innegabile, inaccettabile. è una produzione "trash" a tal punto da divenire quasi sublime. Già, così sublime da far dimenticare e da non far assolutamente capire allo spettatore in che periodo è ambientata questa bella FAVOLA, o più precisamente in un periodo storico che va dal 1400 al 1985. Questo è l'unico atteggiamento sobrio che si dovrebbe tenere prima di entrare nella sala cinematografica, non ci si deve aspettare un film con delle pretese, se non quelle di infilare i soliti valori americani in tutte le salse, e questo medioevo-fantasioso non è che un mero involucro ed un simpatico strumento per farlo. I classici valori dell'"uomo che si costruisce da solo alla Bill Gates", del tentativo di far vedere alla società quanto "diseguali siano uomini e donne in questo mondo", quanto sia assolutamente "importante sapersi presentare al proprio pubblico", quanto "l'amicizia sia forte e possa aiutare gli altri al di là delle proprie aspettative", quanto nel "lavoro, qualunque esso sia, la donna possa eguagliare e, alcune volte superare, l'uomo", quanto "dobbiamo essere grati del nostro presente alla nostra famiglia che mai dovremmo dimenticarcene", quanto "esiste un Dio giusto su questa terra", sono magistralmente armonizzati ed incastrati in questa fiction; ma innegabilmente vanno fatte delle critiche, anche pesanti, all'uso improprio fatto della storia; quindi: - il paggio che accompagna un signore nei suoi viaggi e nelle sue avventure cavalleresche è sì una figura esistita, ma assolutamente di rado era di umili origini, anche se a volte accadeva, ed è ancora più improbabile che allenasse il suo signore all'uso delle armi (attività questa che era di esclusivo appannaggio di nobili cadetti e militari di nobili origini che venivano accolti da un cavaliere per imparare quest'arte); quindi il nostro giovane eroe non sarebbe mai divenuto un così provetto spadaccino, per contro gli addestramenti che si susseguono dopo la morte del nobile cavaliere (morto di una morte piuttosto comune: dissenteria) mostrano sicuramente una discreta conoscenza delle tecniche di combattimento e delle impostazioni descritte negli antichi manoscritti che vertono sull'argomento; - la principessa portatrice dell'eguaglianza e della parità dei diritti non avrebbe potuto avere una sfrontatezza tale da non essere accompagnata da suo padre e dal decidere da sola del suo destino, sfrontata a tal punto da ringhiare in chiesa contro il prete che la redarguiva, ANATEMA!! Sfoggia vestiti e acconciature assolutamente alla moda… degli anni '70-'80 insinuando, insieme agli abiti che in alcune occasioni (come il ballo in onore del vincitore) sono in sintonia con lei ma altre volte lo sono con il periodo storico in questione, non poche confusioni nello spettatore; - l'araldo, figura assolutamente importante nel medioevo per annunciare l'arrivo del proprio signore, non faceva l'annuncio in pubblico ma precedeva il "suo" nobile all'araldo del nobile ospitante, il quale araldo doveva conoscere in parte le armi araldiche (e di qui la parola araldo) dei più importanti signori e nobili della sua epoca; anche per questo l'araldo era dotto, colto, e spesso anche consigliere del cavaliere. Quindi il predecessore degli annunciatori degli incontri di wrestlig non credo che andrebbe ricercato proprio in quell'epoca; - la "ferraia" che dovrebbe mostrare l'uguaglianza tra uomo e donna, anche in un lavoro duro e faticoso come quello del fabbro d'armi, non ha proprio la stazza e la possanza di un fabbro vero o di una "fabbra" possibile, ma la delicatezza e la leggiadria di una ballerina, come dimostra anche durante il film, a conoscenza, tra l'altro, di danze assolutamente lontane dalla sua sfera sociale; - esiste un Dio su questa terra poiché nel momento in cui la frode si scopre e quindi dovrebbe essere fatta giustizia (anche grazie al fatto che il nostro protagonista è valente e coraggioso di natura e non per status) giunge la mano della provvidenza, e della fortunosa circostanza, a farlo cavaliere per far sì che si possa battere con lo stesso rango del cattivo di turno, non curanti del cerimoniale e di tutto quanto questo significasse anche in un'epoca in cui il "cavaliere" era solo il simulacro di passate vestigia. Bisogna altresì ammettere, però, che la ricostruzione delle cittadine, della lizza, delle armature e degli scontri sono assolutamente magistrali; gli stuntman, da bravi americani, sono superlativi; e gli accampamenti assolutamente realistici (a parte la tenda di broccato verde con gli alamari verdi che diviene una splendida giacca!). Tutto questo, anche se molto gradevole, crea indubbiamente dei problemi anche piuttosto seri: il cinema, come tutti i mass media, è un veicolo didattico fortissimo le cui informazioni, grazie alla sua stessa natura, rimangono fortemente impresse nel subconscio umano; spesso la maggior parte degli spettatori non è perfettamente conscia di quello che è o che era il medioevo, di come gli uomini si comportavano, di come si vestivano, e film come Il destino di un cavaliere contribuiscono fortemente a creare ulteriore confusione in tutti i non addetti ai lavori.
Il film I personaggi, la trama e i dialoghi così leggeri e gradevoli donano al film una godibilità ed una scorrevolezza invidiabili; alcune ricostruzioni sono di altissimo livello e gli scontri d'arme sono diretti magistralmente; la giostra equestre (che differisce dal torneo per via della presenza, in questo, di vere e proprie squadre di giostranti) rende molto bene la violenza e l'emozione di queste dimostrazioni d'arme. Nel complesso il film è molto gradevole e appassionante, ma non è di certo un film storico.
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di Ermanno Olmi, 2001
Storicità Scenografia,
costumi, messe in scena, ricostruzioni, tutto assolutamente fedele e consono al
periodo storico in cui tutto il film si svolge. Il modo di parlare è un unicum
in un volgare assolutamente perfetto e calzante. Nulla da eccepire per quanto
riguarda le sensazioni, la ricostruzione è fedele e rispecchia gli eventi e il
loro susseguirsi anche se un po’ troppo cupa è l’ambientazione (lascia
decisamente trasparire uno dei più sentiti e appoggiati luoghi comuni del Medioevo:
l’età buia!) vissuta quasi esclusivamente di notte. Ritengo
molto forzata la battuta di Joanni de Medici, dopo le prime scene del film,
allorquando parla (lui un soldato, un uomo di guerra poco avvezzo alle lettere e
soprattutto nei primi anni del 1500) di “Italiani”; il termine mi sembra
poco consono così come poco consona è, non me ne vogliate, la presentazione
“ufficiale” che è nella pagina
con la
scheda
del film di Olmi, credo che sia un po’ banale e non veritiera
allorquando si parla di un ventottenne che sfugge alla morte o che si ritiene
troppo giovane per poter morire. Il concetto di morte, come perdita del bene più
prezioso, “la vita”, è proprio degli uomini del nostro secolo, non certo di
coloro i quali non sapevano se l’indomani si sarebbero svegliati, o comunque
di genti la cui credenza era sempre quella di trovare nella morte e, di
conseguenza, nella resurrezione una via decisamente migliore. Scrivere
che Giovanni delle Bande Nere viene ucciso a tradimento è una grossa forzatura,
anche perché è un agguato, quello che i Lanzichenecchi gli tendono; altresì
dire che viene ucciso «da queste nuove e diaboliche macchine da guerra che lui
non conosce», non è vero, dato che nel suo esercito vi è un nutrito gruppo di
archibugieri. Assolutamente
adeguato, come dicevo, è il linguaggio, credo che si possa definire l’unico
film in cui vi è un’attenzione estrema verso quest’aspetto, a mio avviso
fondamentale, come adeguati sono i dialoghi fra tedeschi e signori locali, con
dei traduttori che fanno da garanti per la giusta comprensione. è
fin troppo evidente che il film vuole essere una produzione tipicamente italiana,
nella quale Olmi esprime tutta la sua personalità: un cinema molto, troppo
riflessivo, fatto di sguardi, di fotogrammi immobili, di silenzi, che si
contrappone energicamente ai kolossal Hollywoodiani fatti di grossi movimenti di
eserciti e battaglie campali in grande stile. Il film fa ben notare come le guerre, sul volgere del ‘400, erano fatte soprattutto di scaramucce, di inseguimenti, di sortite, di “scaramuzzar” per cercare di sfiancare il nemico piuttosto che di batterlo in campo aperto. Ma
perché non si vede neanche un piccolo scontro in armi? Sempre per dimostrare
che il film italiano è soprattutto riflessivo più che d’azione? o perché
riteniamo, in Italia, di non essere all’altezza di determinate performances
(cosa che non credo)? Il
Medioevo, anche se in questo film si dovrebbe parlare di basso, bassissimo Medioevo,
era fatto comunque di guerra e di violenza e scansarla, per esorcizzarla dal
nostro mondo, non conferisce, a questi mezzi divulgativi, il rigore storico di
cui DEVONO essere dotati; i costumi, le armi e le armature, nel film, possiedono
questo rigore storico, con una giustissima attenzione verso l’ubicazione
storico-geografica delle genti rappresentate. La
figura del soldato, dell’uomo d’arme, del “guerriero”, e del “mestiere
delle armi” è tratteggiato con rigore e rispecchia esattamente il modus
vivendi dei mercenari.
Il film Scenografie e ambientazioni ottime, buona caratterizzazione dei personaggi, peccato per la stazza dell’attore che interpreta Joanni de Medici: è poco credibile come capo, con addosso 30 kg di armatura di piastre e, al di sotto, 10-15 di cotta di maglia (qui mi permetto di fare un appunto: il giaco di maglia non veniva utilizzato praticamente mai per intero, al di sotto delle piastre metalliche, bensì venivano indossati dei corpetti in cuoio imbottito con rinforzi in maglia nei punti più deboli delle armature in piastre complete: sotto le ascelle, intorno alla gola, negli avambracci, dietro le ginocchia, in pratica in tutte le giunture) e soprattutto quando guida, urlando timidamente, le cariche di cavalleria. Nel complesso, anche se un po’ lento, il film è gradevole e molto ben fatto.
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I cavalieri che fecero l'impresa
di Pupi Avati, 2001
Storicità Scenografia, costumi, messe in scena, ricostruzioni: sono d’accordo con Franco Montini, nel dire che non hanno nulla da invidiare ai kolossal hollywoodiani ed anche le ambientazioni sono ben caratterizzate, purtroppo con qualche pecca come il Fabbro, Giacomo di Altogiovanni (il cui nome secondo me poteva essere cambiato per evitare le poco carine risate di tutti gli spettatori che al suo primo nominarsi hanno ovviamente capito, me compreso, Giacomo di Aldo e Giovanni, ovvero Aldo Giovanni e Giacomo, il noto trio comico), che prima di essere fabbro era tintore e per amore cambia il suo mestiere e senza avere la stazza da fabbro diviene il migliore allievo del suo maestro. La musica non è affatto medievale ed è piuttosto “scarsa”, così come scarse sono le emozioni per via della esasperata lentezza dell’intero film; sui duelli e gli scontri d’armi stendo un velo pietosissimo poiché, anche se ciò che afferma Avati nell’intervista riguardo alla crudezza ed efferatezza dei combattimenti è più che giusto, i suoi attori non hanno affatto maestria nell’uso delle armi. L'esperienza, la maestria, erano dati necessari e storicamente rilevanti, poiché un cavaliere prima di divenire tale, dall’età di 10 anni faceva il serviente per un cavaliere già affermato, e l’apprendistato durava dai 6 ai 10 anni, periodo in cui il giovinetto non solo imparava ad indossare armatura e scudo, ma a cavalcare e brandire qualunque tipo di arma. E se ciò non bastasse vi erano in circolazione testi di tecniche guerresche e di combattimento a cavallo e appiedati di cui il più antico a noi giunto, che non significa che sia il più antico mai redatto, è il Flos duellatorum di Fiore de Liberi del 1409. Alla fine il fabbro (Bova) viene investito cavaliere (anche qui mi astengo da un giudizio di storicità, poiché vi era una vera e propria cerimonia per sancire questo evento con l’acquisizione del cingulum per il nuovo cavaliere), e senza aver mai brandito una spada, “magicamente” è quello che la tiene e la usa meglio degli altri. Sono allibito nel leggere che Avati afferma di essere orgoglioso della scena finale, 5 contro 5.000, 5 giorni di riprese per produrre, se vogliamo, la scena più inverosimile di tutto il film - peggio addirittura della nicchia barocca dove era custodita la Sindone; peggio dei 4 Templari (unici esemplari a Tebe) che circolavano indisturbati, armati di tutto, a Tebe; peggio del lenzuolo che viene, dopo 1272 anni, avvolto intorno al corpo di uno dei cavalieri con la stessa resistenza ed elasticità di quando era stato intessuto - in cui i 5.000 prendono un “biglietto numerato” da supermercato e aspettano pazientemente il turno per essere maciullati, senza parlare dei 200 balestrieri che avrebbero abbattuto i poveri eroi con uno schiocco di dita. E credo che, a differenza di quello che dice Avati nella solita intervista, si possa definire non esaltante ma epico un tentativo di questo tipo, senza la risoluzione epica tipica dei film hollywoodiani ma con un accenno alla grandezza degli eroi che prima di morire abbattono un gran numero di avversari. L'efferatezza che c’è in molte scene poteva essere evitata, così come il solito fabbro carpentiere-armatore-scassinatore che permette, quasi da solo, di aggiustare una nave che era praticamente un relitto e di farla ripartire.
Il film Scenografie e ambientazioni ottime, a discapito di una sceneggiatura scarsissima e di una caratterizzazione dei personaggi inesistente; squarci, spacchi, tagli (come quello del braccio del poveretto che si oppone al cavaliere di ventura) al limite del ridicolo (vedi la scena in cui il piccolo cane mangia le budella di chi lo aveva prima maltrattato). Il racconto è di una lentezza esasperante e il momento più aulico dell’impresa, l’arrivo a Tebe e il recupero della Sindone, in cui il film dovrebbe avere un’accelerazione degna dell’accadimento, occupa gli ultimi 20 minuti e si risolve con una facilità estrema.
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©2001-2003 Stefano Latorre